PALESTINA. Alternative economiche all’occupazione: viaggio tra Taybeh e Ramallah

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tratto da: NENA NEWS

L’altra faccia dei Territori occupati: la birra di Nadim, la Scuola di Circo e il Conservatorio Edward Said. Tre esempi di produzione culturale e artistica dal basso che sfida i legacci dell’occupazione militare

Uno spettacolo della Scuola di Circo di Ramallah (Fonte: palcircus.ps)

06 dic 2019

di Francesca Merz

Roma, 6 dicembre 2019, Nena News – Il viaggio in Palestina è un viaggio nella bellezza, nella caparbietà, nella resilienza e nell’intelligenza creativa di chi combatte un mondo di soprusi. Nel viaggio alla scoperta di come si possa creare un’economia autonoma in Palestina, tra le realtà imprenditoriali di cui va fatta menzione, c’è la produzione della birra e dei vini di marca Taybeh, per l’appunto nella piccola cittadina di Taybeh, poco sopra Ramallah.

All’interno della fabbrica potrete incontrare Nadim, fondatore dell’industria di birra più piccola e internazionale che vi possa venire in mente e produttore della birra più buona che io abbia mai bevuto. Da qualche anno a questa parte la Taybeh produce anche vino, utilizzando uva bitumi, indigena palestinese, assolutamente identitaria della Palestina (una sorta di Chianti per l’Italia)

Incontrare Nadim è stata un’esperienza, la degustazione dei vini e delle birre di altissimo livello, la cura nella produzione, la consapevolezza profonda della storia e la volontà di portare il nome della Palestina in giro per il mondo per distruggere quel muro di omertà che vorrebbe i palestinesi solo terroristi e iniziare a parlare invece di produzione, industria, filiere sostenibili, produzione comunitaria, processi economici sostenibili.

La Taybeh vende in tutto il mondo, con negozi, distributori internazionali e agenti di vendita. La fabbrica è piccola e familiare con quindici addetti, l’attenzione alla sostenibilità è massima, gli ambienti e il metodo di produzione è all’avanguardia ma artigianale e non inficia la quantità di produzione, che consente all’azienda di esportare in tutto il mondo.

È possibile, per gli amatori, trovarla anche in Italia, così mi racconta Nadim, le molte tipologie sono indigene perché l’acqua è del territorio, la materia prima viene dal Belgio e dalla Germania, per poi essere lavorata con l’aggiunta di aromi del territorio, che danno alle varie tipologie prodotte aromi e profumi di straordinaria consistenza e piacevolezza.

Dal 2013 hanno iniziato anche con la produzione del vino, con un training di qualche mese coordinato dal wine maker italiano Roberto Pellegrini, che ha lavorato con loro per sedici mesi per istruirli alle pratiche più innovative e sostenibili nella produzione, anche in considerazione del fatto che nel territorio palestinese vi è una lunga tradizione di vino dal tempo di Cristo, Nadim mi racconta che era solito che ogni famiglia lo facesse per l’estate.

Nella fabbrica di birra Taybeh

Nella fabbrica di birra Taybeh

La Taybeh, che prende il nome proprio dal villaggio in cui sorge l’azienda, ha iniziato con la produzione della birra, per poi diventare un vero e proprio gruppo, con l’apertura di un hotel per l’accoglienza degli ospiti e tour di degustazioni di vini e birre in azienda. La produzione è fatta interamente da lavoratori palestinesi e convogliando le uve da vari agricoltori secondo un sistema cooperativo.

In quello sperduto angolo di mondo, grazie a questa azienda, hanno turisti da tutto il mondo, sono organizzati in cooperative di contadini per la produzione, includendo nella loro vendita anche altri prodotti, come olio di oliva comprato direttamente dagli agricoltori della zona, di cui si occupano dell’imbottigliatura, della vendita e distribuzione, così come dello zatar, insieme di spezie tipico della Palestina, che viene acquistato dalle donne che lo coltivano e rivenduto presso l’azienda.

L’ultimo progetto di Nadim è stata la costruzione, nel 2017, dell’albergo per agevolare la filiera dell’incoming. Nel corso della mia giornata a Taybeh mi hanno anche fatto vedere i nuovi locali della distilleria di vodka e grappa, che dovrebbe a questo punto essere aperta. Il modello economico dell’impresa è quello familiare, con successivo allargamento cooperativo, uno dei modelli di maggiore successo nella Palestina occupata.

Una delle battaglie di Nadim è stata quella di pretendere di inserire sulle etichette del vino la scritta “Palestine” come provenienza e luogo di produzione; a questo si ricollega una recente sentenza del tribunale federale canadese, dello scorso 29 luglio, in cui ha stabilito che le etichette “Prodotto in Israele” sui vini prodotti nelle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati erano “false, fuorvianti e ingannevoli”. “La legislazione federale canadese richiede che i prodotti alimentari (compresi i vini) venduti in Canada rechino etichette indicanti il paese di origine veritiere, non ingannevoli e non fuorvianti”, ha affermato la Corte. Il caso era stato sollevato nel 2017 dall’attivista ebreo canadese David Kattenburg, che aveva contestato le etichette “prodotto in israele” dei vini delle cantine Psagot e Shiloh, entrambe situate nella Cisgiordania occupata.

Adesso il Tribunale federale canadese, similmente a quanto avvenuto in sede Ue, ha definitivamente stabilito che i prodotti delle colonie israeliane non sono “prodotti in israele”, e tra le altre cose non possono godere di trattamenti fiscali e commerciali di favore.

Come abbiamo già avuto modo di accennare, molta parte dell’economia palestinese è trainata (e talvolta purtroppo solo ammansita, potremmo dire) da fondi internazionali e aiuti derivanti dalla cooperazione. Questo ha portato a un fenomeno quanto mai interessante però anche in ottica di sviluppo delle professionalità sul territorio. Moltissimi palestinesi sono infatti attivi nella cooperazione internazionale, nello sviluppo di pratiche comunitarie e sociali, nel sociale, nell’istruzione all’infanzia, in lavori che potremmo definire socialmente rilevanti, facendo accrescere notevolmente le competenze della popolazione in un tale ambito.

Uno degli esempi più interessanti e gioiosi delle mille attività che si svolgono sul territorio, specie insieme ai bambini, è il Palcircus di Ramallah, in cui si sono formati e si formano giornalmente operatori capaci di abbinare competenze sportive, culturali, artistiche e di educazione infantile, specie avendo a che fare con bambini che nella maggior parte dei casi hanno subito o visto eventi traumatici.

La Scuola di Circo Palestinese nasce nell’estate 2006 con lo scopo di diffondere le arti del circo in Palestina e di restituire ai giovani della Cisgiordania uno spazio in cui potersi esprimere liberamente, interagire con l’altro, sviluppare le proprie abilità in un ambiente sereno di mutuo rispetto e di continua dialettica interpersonale. Lo scopo è quello di restituire ai giovani la fiducia nelle proprie capacità e l’autostima, messe a dura prova ogni giorno dall’umiliazione legata all’occupazione israeliana.

Lezione al Conservatorio Edward Said di Ramallah

Lezione al Conservatorio Edward Said di Ramallah

L’attività della Scuola di Circo Palestinese mira, attraverso l’insegnamento di discipline fisiche e artistiche, a ridare la speranza ai giovani e soprattutto ad aiutarli a ristabilire un controllo sulla propria vita, rafforzandone il senso di fiducia in se stessi e di responsabilità e sviluppandone il pensiero critico e le doti artistiche, affinché divengano attori positivi di cambiamento all’interno della comunità e della società.

I progetti principali della Scuola al momento sono tre: il primo riguarda la produzione dello show “Circo dietro il Muro” a opera degli allievi e dei giovani trainer della scuola; il secondo la creazione dei “Circus Clubs”, laboratori di arti circensi sia a Ramallah, dove ha sede la scuola, sia in aree svantaggiate della Cisgiordania, quali Hebron e Jenin, e alcuni campi profughi; il terzo la cooperazione culturale internazionale e gli scambi con altre scuole di circo, soprattutto europee, o singoli artisti europei.

Incontrare gli artisti, i bambini, i volontari in quel luogo di gioco e armonia, è stata una delle esperienze più belle della vita. Proprio per la difficile condizione in cui vivono si sono sviluppate molte professionalità che partecipano a progetti di rigenerazione comunitaria.

A Ramallah, sempre in questo ambito di sviluppo culturale troviamo un’altra realtà di grande interesse: il Conservatorio Musicale Nazionale Edward Said, realtà di fama internazionale, che si occupa dal 1993 dell’avvio e dell’educazione dei giovani alla musica classica, comprendendo classi e scolari che vanno dai cinque ai venti anni.

Qui le attività sono finanziate da vari partners locali, anche in questo caso si tratta di un luogo che non ha né vuole avere finanziamenti governativi. Lo studio di registrazione del Conservatorio è unico in tutta la Palestina. È stato inoltre costruito un teatro per concerti che, come si vede dalla programmazione, ospita spettacoli di altissimo livello e internazionali, prediligendo produzioni dal basso, anche in questo caso agevolando un’economia produttiva culturale basata su un mercato parallelo, senza le grandi produzioni. Nena News

 

http://nena-news.it/palestina-alternative-economiche-alloccupazione-viaggio-tra-taybeh-e-ramallah/

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