In ‘Resistenza’ la testimonianza dei ragazzi di Ya Samba: ogni venerdì sono con i Comitati popolari palestinesi per manifestare pacificamente contro l’occupazione.
“Quando avevo 18 anni mi sono resa conto di cosa fosse l’occupazione. È incredibile, nonostante fossi una ragazza curiosa non mi ero mai posta il problema di cosa accadesse intorno a me”.Sono le parole di Sharon Casper dell’Associazione Ya Samba, che racconta cosa significhi per un israeliano opporsi alla visione comune e decidere di “passare dalla parte del nemico”.
Lei è solo una dei tanti israeliani e internazionali che appoggiano la resistenza dei Palestinian Popular Commitees, i Comitati Popolari Palestinesi. “Alcuni pensano che siamo ingenui o pazzi, altri credono che abbiamo ragione ma che, al nostro posto, non riuscirebbero a reggere lo stress o non riuscirebbero a credere di poter cambiare veramente qualcosa”, spiega sottolineando come vengono visti dal resto della comunità gli israeliani che si oppongono alla politica di repressione e annientamento dei palestinesi. “Ho perso molti amici”, aggiunge “ma arriva un momento in cui devi scegliere tra vita privata e politica”.
Con il suo tamburo, insieme agli altri militanti dell’associazione Ya Samba, contribuisce a creare rumore intorno alle manifestazioni non violente che, ormai da diversi anni a questa parte, si svolgono ogni venerdì dopo la preghiera, in molti villaggi palestinesi che sorgono a ridosso del muro che taglia in due i Territori Occupati. In prima fila, a Bil’in come a Nabi Saleh o ad Al Massara, anche i bambini, per dire no all’occupazione delle terre dei contadini da parte dei coloni israeliani, un’occupazione che sta rendendo impossibile la sussistenza stessa di questi villaggi e la vita delle persone.
Le manifestazioni, organizzate dai Comitati di Lotta Popolare, a volte si svolgono senza particolari disordini, ma nella maggior parte dei casi vedono l’intervento massiccio dell’esercito, con gas lacrimogeni e proiettili di plastica. Centinaia, forse migliaia, in questi anni, i feriti e gli arrestati, ma non sono mancati anche i morti, come Mustafa Tamimi, ucciso a 28 anni da un lacrimogeno lanciato da un soldato israeliano, di recente assolto. “Sapevamo fin dall’inizio che avremmo pagato un alto prezzo. E che ogni venerdì avremmo perso qualcuno per questo”.
Così la madre, Manal, spiega il prezzo che i palestinesi pagano per aver scelto la Lotta Nonviolenta. “Nel nostro paese vivono 500 persone e più della metà sono state in carcere almeno una volta. Alcuni anche per 10 o 15 volte”, racconta mentre la sua casa, come ogni venerdì, è circondata dall’esercito che sparge sulle case acqua rancida che rende l’aria irrespirabile e procede all’arresto di quante più persone possibili. Perché, che siano israeliani, palestinesi o provengono da qualsiasi altra parte del mondo, è già una colpa che merita un processo immediato l’aver partecipato alla manifestazione.
RESISTENZA*
Palestina, un giorno di assedio all’università
http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=96711&typeb=0&Palestina-un-giorno-di-assedio-all-universita
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