Palestina, la Grecia del Medio Oriente: «Un milione di aiuti oppure il default»

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7 aprile 2012

Gerusalemme – Continua la crisi economica nei territori. Nonostante l’austerità, il premier FaYyad ha dovuto chiedere il sostegno dei paesi vicini

Palestina, la Grecia del Medio Oriente: «Un milione di aiuti oppure il default»

La Palestina potrebbe diventare presto la Grecia del Medio Oriente. Le casse dell’Anp (Autorità nazionale palestinese) sono vuote e il rischio default non è più uno scenario improbabile. Atene è stata salvata (per ora) dall’Europa, ma chi salverà i palestinesi? Per colmare il disavanzo di bilancio non bastano gli 88,6 milioni di dollari dei 147 promessi dagli Stati Uniti la scorsa estate e inviati solo una decina di giorni fa. «Ci serve un miliardo di dollari entro la fine dell’anno», lancia l’allarme Salam Fayyad, il premier palestinese già economista alla Banca mondiale. «Abbiamo bisogno del vostro aiuto», ha dichiarato ieri, tornando a bussare alle porte dei vicini paesi arabi. La pressione sui paesi donatori (Usa, Ue, stati arabi e Giappone in testa) viene esercitata anche dal Fondo monetario internazionale. Chi si è impegnato a sostenere l’Anp è bene che «onori le promesse» perché la congiuntura è «difficile» e «potrebbe ulteriormente peggiorare », si legge nell’ultimissimo rapporto sull’economia palestinese.
Il tasso di disoccupazione è del 17 per cento in Cisgiordania e del 29 nella striscia di Gaza, con punte per quella giovanile rispettivamente del 26 e del 47 per cento. Il numero dei palestinesi che lavora in Israele rimane stabile al 10-12 per cento, troppo pochi rispetto al 20 per cento nel periodo precedente alla seconda intifada.
D’altronde anche il rapporto della Banca mondiale dipinge a tinte fosche il quadro, che si fa veramente drammatico. Gli stipendi dei 165mila dipendenti pubblici – spina dorsale dell’economia – non vengono pagati da mesi, l’inflazione è al tre per cento, numerosi progetti per la costruzione di strade, abitazioni e altre infrastrutture sono stati congelati. Senza liquidità l’Anp ha aumentato le tasse e ridotto la spesa pubblica, tagliando significativamente i bonus per le famiglie bisognose. In queste condizioni, gli indici di gradimento di Fayyad e Abu Mazen non possono che essere ai minimi storici. In Cisgiordania, la strategia del premier palestinese intenta a costruire istituzioni forti non raccoglie consensi. «La maggior parte dei soldi è spesa per la sicurezza, che non interessa i palestinesi ma l’Occidente e Israele», denuncia Bassam Zakarneh, capo del sindacato dei lavoratori pubblici. «Se il governo ci chiedesse di tagliarci lo stipendio del 50 per cento per creare uno stato palestinese sovrano, saremmo pronti al sacrificio». L’orizzonte di uno stato palestinese sembra dunque farsi sempre più irraggiungibile: il processo di riconciliazione tra al Fatah e Hamas è bloccato, i colloqui con Israele si sono rivelati inconcludenti, il riconoscimento presso le Nazioni Unite è in stallo e, sul fronte americano, Obama è impegnato a tempo pieno nella campagna elettorale.
Il risentimento popolare è comprensibile, ma le cause della crisi sono principalmente da ricondurre alla diminuzione degli aiuti internazionali e alle restrizioni commerciali imposte da Israele. La Banca mondiale punta il dito contro lo stato ebraico che «nel 2011 si è limitato a rimuovere tre posti di blocco e approvare cinquemila permessi di lavoro».
Tel Aviv rimanda le accuse al mittente, denunciando le «poche proposte concrete» avanzate dai palestinesi in un altro dossier, presentato a Bruxelles all’ultimo incontro dei paesi donatori dell’Anp. Nel quale, però, i dati riportati contrasterebbero con i fatti omessi. «Come un ragazzo che prima uccide i suoi genitori e poi rivendica la pensione di orfano, Israele descrive i fallimenti dell’economia palestinese come se la sua occupazione colonialista non ne fosse la causa primaria», è il duro commento di Amira Hass, giornalista israeliana di Haaretz residente a Ramallah. Ma forse la contraddizione più grande sta nell’evidenziare che la dipendenza dell’Anp dagli aiuti stranieri non accennerà a diminuire nel prossimo anno, considerando che proprio questi aiuti «alleggeriscono Israele dagli obblighi di potenza occupante e ne riparano i danni che sta causando».
A cadere in contraddizione però qui è la stessa «famiglia delle nazioni», per la quale «è molto più semplice finanziare l’occupazione che forzare Israele a porvi fine»

 

 

 

http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/133921/

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