31 ott 2015
I partiti palestinesi fanno appello ai “venerdì della rabbia” ma restano ben distanti dalla base. Stamattina ucciso un giovane palestinese a Jenin, accusato di tentato accoltellamento.
I funerali a Qabatiya, vicino Jenin, di Ahmad Kamil, ucciso dall’esercito israeliano ,il 30 ottobre (Foto: Nedal Eshtayah/APA images)
della redazione
Gerusalemme, 31 ottobre 2015, Nena News – La giornata di ieri, un altro Venerdì della Rabbia, si è chiusa con una tragedia: un bambino di soli 8 mesi, Ramadan Thawabteh, è morto nel villaggio di Beit Fajjar, tra Betlemme e Hebron, a causa dell’inalazione di gas lacrimogeni. Hanno investito la sua casa, mentre fuori infuriavano gli scontri tra esercito israeliano e manifestanti palestinesi.
E oggi questo sabato si apre con un’altra uccisione. Stavolta è successo al checkpoint al-Jalama di Jenin, profondo nord della Cisgiordania, già teatro di episodi simili nell’ottobre appena trascorso. Il copione è lo stesso: secondo l’esercito israeliano, “un palestinese ha tentato di accoltellare un funzionario della sicurezza e le forze [militari] hanno risposto all’immediato pericolo e sparato all’aggressore”. Il giovane, dicono i soldati, stava correndo con un coltello in mano e non si è fermato allo stop intimatogli. Di nuovo, la versione dei testimoni è diversa: il giovane non aveva un coltello e non voleva aggredire nessuno.
Così sono morti decine di palestinesi dal primo ottobre ad oggi. Il bilancio tocca oggi quota 69. Molti sono morti durante scontri, altri per i gas, altri perché le chiusure imposte dall’esercito ha impedito alle ambulanze di soccorrerli. Ma la maggior parte sono stati uccisi dalla polizia o dall’esercito israeliani accusati di voler accoltellare militari o civili. Molti osservatori, sia israeliani che stranieri, si dicono preoccupati per la nuova pratica delle forze militari, sparare a chi in mano ad un coltello, senza tentare di arrestarlo o, almeno, solo ferirlo. I soldati e i poliziotti, a cui l’impunità necessaria gli viene garantita dagli estremismi del governo e delle opposizioni, si fanno giudici e esecutori. Una grave violazione del diritto internazionale.
Tanta violenza e la repressione delle manifestazioni di protesta nei Territori e dentro lo Stato di Israele non fa che accendere ulteriormente la rabbia. Lo dimostrano le migliaia di persone che prendono parte quasi ogni giorno ai funerali degli uccisi, come accaduto ieri a Gerusalemme Est, nel quartiere di Al-Ezariya: in migliaia hanno commemorato il 22enne Mutaz Atallah Qassem, ucciso il 21 ottobre ma il cui corpo è stato restituito dalle autorità israeliane solo ieri.
Una rabbia che le fazioni politiche palestinesi non sanno gestire né incanalare: a poco valgono gli appelli ai “venerdì della rabbia”, lanciati dai partiti politici che in piazza non scendono. Fanno appello alla gente perché protesti, si scontri con l’esercito e la polizia, ma non forniscono alcuna guida politica. Non disegnano una strategia di lungo periodo, non immaginano un orizzonte o un obiettivo di lungo periodo. È la principale accusa che il popolo palestinese muove alle proprie fazioni politiche: nessuna visione politica, nessuna strategia. E in piazza i più giovani vanno da soli, rischiando la vita. Nena News
http://nena-news.it/palestina-la-rabbia-e-solo-del-popolo-e-non-della-leadership/
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