Il 2011, per la Palestina, è stato l’anno della richiesta di riconoscimento dello Stato alle Nazioni Unite, e dei prigionieri rilasciati dalle carceri israeliane. Ma è stato anche un altro anno di terre confiscate, case abbattute, manifestanti nonviolenti uccisi da gas lacrimogeni, diritti umani violati. E se il vecchio anno si chiude con l’annuncio della costruzione di un nuovo muro, il nuovo si apre con un bambino di sei anni arrestato a Gerusalemme.
Sono stati 365 giorni di diritti umani violati. Il 2011, per la Palestina occupata, è stato l’anno che verrà ricordato per la richiesta di riconoscimento dello Stato presentata dal presidente Mahmoud Abbas alle Nazioni Unite. E dei prigionieri politici palestinesi, nelle carceri israeliane da una vita, rilasciati come merce di scambio per la libertà concessa al soldato Gilad Shalit.
Ma è stato anche un altro anno di violazioni, diritti calpestati, omicidi impuniti, case demolite e terre confiscate per far posto alle colonie illegali.
Un altro anno di manifestazioni nonviolente nei villaggi palestinesi assediati dal muro, represse nel sangue da Israele, che hanno visto la morte di un altro giovane: Mustafa Tamimi, ucciso a Nabi Saleh in un venerdì di dicembre, colpito a morte da un gas lacrimogeno sparato ad altezza uomo.
E se tenere il conto delle violazioni commesse da Israele, tra l’indifferenza dei media e la mera “preoccupazione” dell’Unione europea sembra impossibile, a fare il punto e dare qualche numero è l’Al-Ard Society for Environmental Awarness and Protection, centro di ricerca palestinese, che ha reso noto un documento rilanciato dall’agenzia InfoPal.
Numeri, che nero su bianco tratteggiano il paradigma di un’occupazione continua, e che raccontano il quotidiano resistere di una popolazione assediata.
Almeno 12 mila gli ettari di terra palestinese occupati dalle forze israeliane nel corso del 2011, di cui 2 mila terreni agricoli confiscati per far posto alle colonie illegali, spesso sradicando alberi di ulivo che, oltre ad essere secolari, rappresentano la principale fonte di sostentamento per molte famiglie di agricoltori: 1.800 quelli andati distrutti a causa della violenza dei coloni nell’anno trascorso, quasi 4 mila gli attacchi ai contadini nei primi mesi autunnali, durante il periodo della raccolta delle olive.
Non si contano le case che sono andate distrutte in tutta la West Bank – ultima ad essere interessata l’area intorno a Betlemme, per far posto alla costruzione del nuovo insediamento di Givat Hamatos – con oltre 500 abitazioni palestinesi che hanno guardato al 2012 con un ordine di demolizione imminente.
Una colonizzazione silenziosa e spietata, in modo particolare nelle zone fertili della Jordan Valley e nel deserto del Negev, dove a finire sotto attacco sono i villaggi beduini: quello di ad’Araqib, secondo il documento del centro al-Ard, è stato distrutto 40 volte in un anno. E 40 volte è stato ricostruito.
“Un’aggressione all’identità collettiva nazionale, contro la storia e il patrimonio palestinesi” secondo il centro di ricerca, che mostra anche, tra i numeri, il tentativo di “ebraicizzazione” della città contesa di Gerusalemme: 40 le abitazioni palestinesi distrutte nel corso di un anno, 3.158 gli ettari di terra confiscati e oltre un migliaio gli alberi sradicati.
E ancora, attacchi alla libertà di espressione, con l’arresto di 17 giornalisti palestinesi, centinaia di prigionieri politici ancora in carcere, assalti ai luoghi sacri per i fedeli islamici, con 23 moschee finite al centro di atti vandalici da parte dei coloni fondamentalisti della “Giudea e Samaria”.
Il 2011 è stato l’anno del Muro di separazione, che continua ad allungarsi spezzando in due i Territori della Palestina occupata.
L’anno della Striscia di Gaza, ancora sotto assedio, che sopravvive grazie ai tunnel. Il 26 gennaio scorso, mentre a Gaza si ricordava il terzo anniversario dell’offensiva “Piombo Fuso”, Israele tornava a bombardare, rinsaldando la stretta sui confini della Striscia, prigione a cielo aperto assediata dal cielo, dal mare, dalla terra.
Il 2011 è stato anche l’anno che ha visto morire, a Gaza City, Vittorio Arrigoni, ma che lo ha visto rinascere sulle gambe di chi, volontariamente, si imbarca ogni giorno sulla “Oliva” per scortare i pescatori palestinesi a largo della costa, finendo vittima di un tiro al bersaglio israeliano dalle navi della Marina militare, appostate in mare aperto.
E mentre in Occidente il conto alla rovescia per festeggiare l’arrivo di un nuovo anno era partito, il 2012 della Palestina occupata cominciava, ancora una volta, senza differenze. Arrestato dalle forze di polizia israeliane e interrogato per ore, il 4 gennaio, Mohammed ‘Ali Dirbas, 6 anni, prelevato per le strade di Gerusalemme Est sotto lo sguardo attonito del nonno.
Salfit, cittadina palestinese a nord della West Bank, presa d’assalto da una folla di coloni ultra-religiosi per festeggiare la ricorrenza di Hannuka, ancora una volta sulle spalle dei palestinesi.
E poi l’annuncio, arrivato insieme al nuovo anno, della costruzione imminente di un nuovo muro, al confine con il Libano. Cinque chilometri di altezza per uno di lunghezza, per separare l’insediamento israeliano di al-Matala dal villaggio libanese di Kafr Kala.
Si tratta del ‘muro numero 4’ per Israele, sigillata all’interno dei suoi confini di ingiustizia, costruiti con il cemento armato.
5 gennaio 2012
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