“Inatteso. Anche chi conosce (bene) Abu Mazen è rimasto sorpreso da un discorso che nessuno si sarebbe mai atteso da un uomo mai istrionico. Considerato, semmai, grigio. Sorpresi, anche i palestinesi, dalle parole del presidente dell’ANP, in quello che – senza dubbio – è stato il discorso della sua vita. Di fronte al mondo, all’Onu, a chiedere finalmente, dopo 63 anni, lo Stato di Palestina. (…) Abbas ha convinto persino chi non lo ama, anche se la discussione dura palestinese è lungi dall’essere stata sanata dal discorso catartico di Abu Mazen. Soprattutto, ha convinto i palestinesi quelle parole che sono le stesse della strada: Abbas ha costruito il suo discorso raccontando soprattutto la vita quotidiana dei singoli palestinesi, degli studenti, dei bambini, delle loro mamme, degli anziani che dovrebbero poter andare all’ospedale senza subire i passaggi dai checkpoint. E’ stata questa scelta di un racconto secco, analitico, costruito tutti sui fatti che ha stupito, i palestinesi in primis, e poi anche il mondo.”
(Paola Caridi, Invisiblearabs)
Peanuts (daWikipedia): Uno dei tratti principali di Charlie Brown è la sua instancabile testardaggine: non riesce mai a vincere una partita, ma continua a giocare a baseball; non riesce mai a far volare un aquilone, ma continua a provarci. Per qualcuno è l’esempio di un’ammirevole determinazione a cercare di fare del proprio meglio contro ogni avversità.
Ecco, carissimi amici di BoccheScucite: abbiamo pensato a lui, a Charlie Brown. A Charlie-Abu Mazen, così come è apparso alla sua gente e al mondo intero, durante e dopo il suo discorso all’Onu.
Un piccolo uomo, una ‘nocciolina’, una ‘bagatella’, che ha continuato a provarci fino a farsi sentire. Fino a far volare l’aquilone, consapevole che è fragile e che un solo alito di vento sbagliato potrebbe farlo capitolare a terra.
“Guardiamo a qualcosa di tangibile per i palestinesi e non solo l’annuncio di uno Stato che sarebbe privo di effetti giuridici”: così il nostro ministro Frattini ha bacchettato i sognatori. Chissà cosa c’è di più tangibile di un popolo che cerca di autodeterminarsi da oltre sessant’anni. Qualcosa di tangibile. Non dunque colonie illegali, muri di cemento, barriere e checkpoint, carroarmati e bombe, ma qualcosa di tangibile, finalmente!
E mentre Charlie-Abu Mazen, forse si stupiva di se stesso per aver superato il momento in cui pensava “la vita è piena di scelte, ma a te non ne viene data alcuna”, i compartecipanti di questa ennesima, purtroppo nerissima striscia si mostravano per quello che sono: noccioline, bagatelle, personcine. Perchè, al contrario di Lucy, Snoopy, Piperita Patty e Linus, un po’ stralunati, un po’ sulle nuvole, a volte incomprensibili ma autentici amici di Charlie Brown, i vari Frattini-Netanyahu-Obama sono i tragici, reali interpreti di un ‘fumetto’ che si ripete da decenni. Personcine insignificanti nel ruolo di attori di una pace giusta, ma pericolose per il destino di milioni di persone, israeliane e palestinesi.
Ecco nocciolina Obama, che ipocritamente evita di arrivare al cuore del discorso, al riconoscimento che un intero popolo, insieme a centinaia di altri, e non certo tutti del mondo arabo, sta chiedendo in nome della giustizia, dell’autodeterminazione, del silenzio in cui sono cadute le decine di risoluzioni Onu mai rispettate da Israele, del diritto alla libertà:
“Personalmente continuerò ad adoperarmi per una pace giusta e duratura tra Israele, Palestina e mondo arabo. Ieri ho avuto un incontro molto costruttivo con il primo ministro Netanyahu e il presidente Habbas. Abbiamo fatto qualche passo avanti. I palestinesi hanno moltiplicato i loro sforzi miranti a tenere sotto controllo la sicurezza. Gli israeliani hanno concesso una maggiore libertà di movimento ai palestinesi. Di conseguenza, grazie agli sforzi di entrambe le parti, l’economia in Cisgiordania ha iniziato a crescere. Ma occorrono altri progressi. Dobbiamo continuare a esortare i palestinesi a porre fine all’istigazione alla violenza contro Israele, e continueremo a far presente a gran voce che l’America non accetta che Israele continui a considerare legittimi gli insediamenti dei coloni nei Territori. È venuto il momento di rilanciare i negoziati – senza precondizioni di sorta – che affrontino una volta per tutte le questioni di sempre: sicurezza per gli israeliani e palestinesi; confini; profughi e Gerusalemme. L’obiettivo è chiaro. È quello di due stati che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza: lo stato ebraico di Israele, veramente sicuro per tutti gli israeliani; e lo stato palestinese indipendente, con un territorio contiguo al primo nel quale abbia fine l’occupazione iniziata nel 1967, e che possa consentire ai palestinesi di raggiungere il loro pieno potenziale. Mentre ci accingiamo a perseguire questo scopo, intendiamo promuovere anche la pace tra Israele e Libano, tra Israele e Siria, e più in generale la pace tra Israele e i molti Paesi con esso confinanti. Nel perseguire questo obiettivo, intendiamo mettere a punto delle iniziative regionali con una partecipazione multilaterale, insieme a negoziati bilaterali. Non sono un ingenuo. So bene che tutto ciò sarà difficile da ottenere. Ma noi tutti dobbiamo decidere se facciamo sul serio parlando di pace o se ci limitiamo a far finta di parlare e muoviamo soltanto le labbra. Per spezzare i vecchi parametri, per rompere il circolo vizioso di insicurezza e disperazione, tutti noi dobbiamo dichiarare ufficialmente ciò che ammettiamo a porte chiuse. Gli Stati Uniti non rendono un favore a Israele quando mancano di abbinare a un risoluto impegno alla sua sicurezza l’istanza che Israele rispetti le legittime richieste e i legittimi diritti dei palestinesi. E tutte le nazioni di questa Assemblea non rendono un favore ai palestinesi quando costoro scelgono di lanciare attacchi al vetriolo invece di una costruttiva volontà di riconoscere la legittimità di Israele, e il suo diritto a esistere, in pace e in sicurezza. Dobbiamo ricordarci che il prezzo più pesante di questo conflitto non lo paghiamo noi. Lo paga quella ragazza israeliana che a Sderot ha chiuso gli occhi temendo che un razzo le togliesse la vita nel cuore della notte. Lo paga quel bambino palestinese di Gaza che non ha accesso all’acqua potabile e non ha un Paese che può chiamare patria. Questi sono tutti figli di Dio. Al di là della politica, degli atteggiamenti e delle posizioni, qui si parla dei diritto di ogni essere umano a vivere con dignità e sicurezza. Questa è la lezione di fondo delle tre grandi religioni che chiamano Terrasanta quella piccola striscia di terra. Ecco perché, malgrado io sappia che ci saranno battute d’arresto, false partenza e giorni molto difficili, io non derogherò dal mio impegno volto a perseguire la pace.”
Perfetto, o quasi. Appunto. E allora perchè? Perchè non riconoscere le stesse cose che auspica? Perchè non restituire terra, giustizia e confini ad un popolo che sta chiedendo le stesse cose? A proposito di Obama, ha affermato l’accademico saudita Khaled al-Dakhil: “Egli ha mentito quando ha affermato che “gli Stati vengono fondati solo attraverso negoziati”. Non esiste alcun esempio di ciò, ad eccezione del Sud Sudan. Gli Stati Uniti furono fondati come risultato di un negoziato o della guerra di indipendenza dal colonialismo britannico? E Israele? Questo Stato non fu forse imposto sui territori palestinesi, anche in conseguenza del voto delle Nazioni Unite? Israele non fu fondata in conseguenza di un negoziato, ma con la forza delle grandi potenze, prime fra tutte la Gran Bretagna e l’America. Quale Stato in Europa, in Asia, o in Africa fu fondato in conseguenza di un negoziato? Era convinzione diffusa che Obama fosse troppo intelligente e dignitoso per ricorrere a giochetti mediocri come questo con la storia politica dell’ordine internazionale. Inoltre Obama, in armonia con la politica distorta degli Stati Uniti, subordina il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi al consenso degli israeliani”.
Caro Obama, memori del suo discorso del Cairo non possiamo che rimanere attoniti di fronte a questo voltafaccia. Ma forse attoniti è troppo. Perchè ci ricordiamo quando, poco prima di essere eletto, in campagna elettorale, lei dichiarò quello che nessun capo di stato straniero si era mai permesso di dire: “Gerusalemme è la capitale unica, eterna e indivisibile dello stato ebraico”. Ecco Obama. Forse siamo solo mortificati e delusi.
E ci viene da dire con Linus: “il segreto della vita sta nel trovarsi nella stanza giusta”. Speravamo in un cambiamento di visione, in un coraggio da lanciatore, da rilanciatore vero. Speravamo di non doverla affiancare ad un uomo-bagatella, Netanyahu, su cui se non altro non riponevamo né speranza né fiducia, e che si è espresso così:
“Noi vogliamo la pace, io voglio la pace. Israele è stato ingiustamente condannato dalle risoluzioni Onu, ma sono i palestinesi a non volere la pace. Noi non siamo lo Stato dell’apartheid. Lo Stato ebraico ha sempre rispettato tutte le minoranze, compreso il milione e mezzo di arabi israeliani. Vorrei poter dire lo stesso del futuro Stato di Palestina. Ci siamo ritirati da Gaza, abbiamo smantellato le colonie e costretto centinaia di famiglie a lasciare le proprie case. Abbiamo consegnato la chiavi di Gaza all’AP e ci siamo ritirati da molti territori, sono stato il primo premier israeliano a bloccare la costruzione delle colonie per dieci mesi. Le colonie non sono la causa del conflitto, ne sono l’effetto Dopo il ritiro da Gaza, abbiamo ricevuto solo missili e guerra. Siamo d’accordo con la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania, ma non certo per avere un’altra Gaza. Un luogo dove il nostro soldato Shalit è ancora prigioniero di Hamas. Ecco, le Nazioni Unite dovrebbero emettere una risoluzione per Shalit.
Gli insediamenti non rappresentano il nucleo del conflitto. Le colonie sono il risultato del conflitto.
Il nodo è sempre stato, e rimane, purtroppo, il rifiuto dei palestinesi di riconoscere uno Stato ebraico in qualsiasi confine.
Penso che sia tempo che la leadership palestinese riconosca ciò che ogni leader internazionale serio ha riconosciuto: Israele è lo Stato ebraico.
Presidente Abbas perché non si unisce a me.
Dobbiamo smetterla di negoziare i negoziati. Andiamo avanti con il dialogo. Negoziamo la pace.!”
Probabilmente personcina-Netanyahu avrebbe volentieri fatto dono a Charlie-Abu Mazen di un libro strano e ci auguriamo introvabile, se avesse potuto, un libro che Lucy, nella sua simpatia di carta e nuvole, ha così evocato:“Ecco un libro sul baseball che si chiama ‘Vincere e altre 10 possibilità’. Pareggiare, perdere, perdere, perdere, perdere, perdere”.
Ma Charlie Brown è abituato a pensare che “la vita è più facile se si teme soltanto un giorno alla volta” e insieme al popolo palestinese, annuncia già dalle prime parole un discorso nuovo, coraggioso, limpido, che ci auguriamo porti tutti, occupanti e occupati, in casa base:
“C’è uno Stato che manca all’appello, e che ha bisogno di essere creato immediatamente. La crisi è troppo profonda. E’ troppo, è troppo, è troppo.”
BoccheScucite
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