20 Set 2013
Un interrogatorio della polizia israeliana mostra la farsa dello Stato di diritto in Cisgiordania, quando si tratta di palestinesi. L’abuso contro un bambino è il microcosmo dell’occupazione.
Lo scorso giugno abbiamo riportato di un grave incidente accaduto vicino all’insediamento di Eli: un agente della sicurezza ha estratto la pistola contro M., un ragazzo palestinese di 14 anni che era finito vicino alla colonia, ha sparato in aria e quando il ragazzo è caduto a terra ferito, l’agente lo ha picchiato, naturalmente con il sostegno delle forze armate. La famiglia di M. ha deciso di presentare una denuncia contro l’agente ed è andata alla stazione di polizia di Binyamin. Poco dopo, come descriviamo in una denuncia ai funzionari del Distretto di Polizia di Giudea e Samaria (JSDP), M. e sua madre si sono trovati di fronte al poliziotto A. per l’interrogatorio. A. non era affatto contento di ricevere una denuncia e si è sfogato sul ragazzo.
Quando M. ha raccontato che l’agente ha sparato in aria e di aver temuto per la propria vita, A. – secondo il rapporto che la madre di M. ha fatto agli avvocati – gli ha gridato: “Non dire che voleva ucciderti, voleva solo fermarti”. Che strana osservazione. Come fa A, che non era presente, a sapere cos’era successo? E in particolare, come fa a sapere cosa aveva in mente l’agente?
Quando M. ha detto al poliziotto che l’agente lo ha fisicamente aggredito con la pistola, picchiandolo in testa, A. ha replicato che lo aveva fatto perché il ragazzo si era avvicinato troppo alla colonia. L’ultima volta che ho controllato picchiare una persona è un reato penale anche se si tratta di un palestinese che si è avvicinato ad una colonia. Ma l’efficiente poliziotto A. non era interessato a tali sottigliezze.
Quando M. ha descritto come l’agente gli ha calpestato la gamba ferita, A- ha gridato: “Stava cercando di vedere come stesse la gamba”. Ancora, come fa a saperlo? Legge nella mente? A- ha chiesto ad M. perché si è avvicinato alla colonia e, quando il ragazzo ha risposto che stava andando nelle terre della sua famiglia, A. se ne è uscito con la sua retorica contorta: “Non conosco tuo padre e tuo nonno e l’agente di sicurezza è tenuto a sparare a chiunque si trovi a 150 metri da una colonia”. Di conseguenza, visto che M. è ancora vivo, A. ha poi aggiunto: “Perché vuoi sporgere denuncia? Queste persone sono state buone con te”.
A questo punto la madre di M. è intervenuta e ha chiesto ad A. perché stava usando quel tono ostile. Domanda alla quale il poliziotto ha risposto che se non le piaceva il suo tono “loro” avrebbero potuto arrivare in un qualsiasi momento e arrestare M. per interrogarlo. Chi siano “loro”, se poliziotti o funzionari dello Shin Bet, non è chiaro; la minaccia, tuttavia, ha gelato M. che da quel momento ha rifiutato di parlare.
Ma il cuore della questione era stato chiarito già prima: quando M. ha sporto denuncia, il poliziotto A. ha urlato: “Pensi che una denuncia potrà restituirti i tuoi diritti?”.
In un Paese normale, la risposta alla domanda di A. è semplice. Sì. La funzione di una denuncia alla polizia è quella di restituire i diritti negati alla vittima. Nel caso di M, si tratta del diritto di vedere puniti secondo la legge chi ha abusato di lui. L’obiettivo del moderno sistema di giustizia, dopo tutto, è la negazione dell’idea che la giustizia sia un fatto privato, qualcosa che la vittima e l’aggressore debbano risolvere tra loro; tutti noi rinunciamo a qualcuno dei nostri diritti così che il governo, che si suppone sia neutrale, possa giudicare chi tra noi ha torto o ragione. Questo è il principale obiettivo del moderno sistema di giustizia: venire fuori da un sistema di giustizia feudale lungo un millennio.
Ma perché un simile sistema ottenga la fiducia pubblica, la neutralità deve essere alla base. Non a caso la Giustizia è rappresentata con gli occhi bendati: non perché, come sostengono i cinici, è cieca e brancola nel buio, ma perché è imparziale e di fronte a lei i deboli hanno la stessa forza dei potenti. Il primo gradino della giustizia moderna è l’interrogatorio di polizia. Se l’agente, a priori, è ostile e accetta in automatico la versione dell’aggressore, se minaccia di arresto la vittima che reclama i suoi diritti, è come se dicesse che non c’è nulla da attendersi dal sistema giudiziario israeliano, anche se l’incidente avviene al di là della Linea Verde. Il poliziotto trasforma la vittima – tra l’altro, un minorenne – in un indagato.
Dicendo “Pensi che una denuncia ti restituirà i tuoi diritti?”, A. illumina la bugia dell’esistenza di uno Stato di diritto in Cisgiordania. Le leggi non sono leggi, ma decreti militari; la polizia non è chiamata a difendere i residenti, ma solo a sostenere le forze di occupazione (e può agire in Cisgiordania solo perché un decreto militare lo ha stabilito). E per quanto riguarda il sistema giudiziario, meno si dice meglio è. La dea della Giustizia resterebbe a stomaco vuoto.
L’avvocato Noa Amrami ha inviato una lettera di protesta da parte nostra, Yesh Din, al capo del JSDP, il maggiore Yaron Sheetrit, chiedendo un’indagine seria dell’incidente: “Crediamo che sia il tempo di tracciare una linea rossa contro eventi che mostrano la parzialità dei poliziotti israeliani e contro i tentativi di minacciare i palestinesi che sporgono denuncia. Non esiteremo a rivolgerci al tribunale se, ancora una volta, lei deciderà di non fare nulla di fronte al disdicevole comportamento del suo poliziotto. Chiediamo inoltre di guardare a questa lettera come ad una denuncia formale contro il poliziotto A. perché siano prese misure disciplinari appropriate”.
Yossi Gurvitz
Yesh Din
Inviato da aicitaliano il Ven, 20/09/2013 – 11:33
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/aic/%E2%80%9Cpensi-che-una-denuncia-ti-restituir%C3%A0-i-tuoi-diritti%E2%80%9D
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