“La scatola che contiene gli appunti per i miei articoli sta per esplodere. Se ci fosse un apparecchio in grado di creare una mappatura cerebrale di quello che c’è dentro, probabilmente produrrebbe l’immagine di una tempesta incoerente, di una minestra in ebollizione, di un misto di colori scuri con qualche venatura più chiara.”
Carissimi amici di BoccheScucite, chi ha scritto le righe che avete appena letto non è l’autore dell’ultimo best-seller dell’estate, ma la nostra stimatissima e coraggiosa Amira Hass, giornalista israeliana che da anni vive nei territori palestinesi occupati, denunciando dalle colonne di Haaretz e di Internazionale le ingiustizie che il suo popolo compie sotto il suo sguardo attento e partecipe.
Dalle prime righe dell’articolo che compare su Internazionale del 21 giugno, e che vogliamo proporvi come occasione di inedita riflessione, ci angustia sapere che qualcosa non quadra. Cosa sta per scoppiare? Purtroppo spunti per articoli di denuncia sappiamo essercene ogni giorno, in Palestina. Lo sappiamo leggendo tutte le testimonianze dirette dei nostri amici palestinesi e dai report che gli internazionali di tante organizzazioni ci inviano. Ma qualcosa non va.
“L’abbondanza di argomenti di cui scrivere mi sta paralizzando.”
Ecco, ci viene da dire. Troppe cose da scrivere. Troppo dolore. Amira è andata in burnout: troppo stress, troppe ingiustizie percepite, e vite viste stritolate dal macchinario dell’occupazione. E come dare torto a questa donna indomita e coerente fino a spendere una vita intera per stare lì. In effetti non abbiamo pensato abbastanza a cosa può aver significato per una giornalista israeliana, in concreto, nel quotidiano, nel personale, fare certe scelte, non solo proclamarle, ma proprio agirle.
“O forse non voglio riconoscere che la scelta professionale di vivere tra i protagonisti dei miei articoli (le persone che subiscono l’occupazione) è a un punto morto? Non riesco a comunicare ai lettori (gli occupanti) la portata della loro ostinata ignoranza. Legati a doppio filo, i protagonisti e i lettori vivono in mondi paralleli, opposti e autonomi.”
Accidenti. Allora no. Forse la stanchezza di fa sentire anche per lei, ma è un’altra cosa che turba Amira. Teme il non senso. Ha paura che non serva a nulla tutto quello che ha fatto e sta facendo. Perchè vede che non ci sono gli effetti sperati tra la gente che era – è la sua. Sembra ci stia dicendo che denunciare non serve. Non serve a scalfire la coscienza di chi, se non altro con il silenzio, si fa complice dello scempio in atto.
E noi, noi che abbiamo intitolato così questa newsletter, fiduciosi che scucire le bocche di tutti, che dare spazio alla denuncia sia il primo passo per ripristinare la giustizia, rimaniamo a bocca aperta per lo stupore. Che ci lascia un gusto amaro.
“Ormai ho finito le parole per descrivere la distanza tra questi due mondi e la vicinanza del disastro: l’insormontabile vuoto tra le due esistenze e la tangibilità del dolore, il potenziale ignorato delle affinità tra i due universi e i sentimenti sempre più forti (e giustificati) di avversione che i protagonisti-occupati provano nei confronti dei lettori-occupanti.”
Cara Amira, vogliamo dirti che sappiamo che quello che stai provando è frutto perverso proprio dell’occupazione, che è intrinsecamente seminatrice di incomprensione.
Anche chi può conoscere, perchè legge e sente, se non ascolta veramente rimane nell’ignoranza. Non basta leggere, bisogna immaginare. Non basta capire, bisogna immedesimarsi. E non basta partecipare, bisogna proprio andare a incontrare.
Ecco, alle parole che mancano faremo corrispondere precise scelte per andare ancora una volta nella palestina occupata.
Ci torneremo ancora per Tutti a raccolta 2013, campo di lavoro e di condivisione per ritrovare le parole della condivisione. (14-21 ottobre)
E poi, cara Amira, ci ritroveremo tutti anche quest’anno al grande Convegno nazionale della Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. La rassegnazione ci fa storcere la bocca, l’ostinata voglia di giustizia ci fa scrivere la data sul calendario: sabato 30 novembre 2013, a Verona, “Artist to resistance”.
Insomma, vogliamo dirti che ci proviamo anche noi, e continueremo a farlo. Continueremo a conoscere, riflettere e a denunciare.
E continueremo ad andare.
BoccheScucite
(l’articolo di Amira Hass è tratto da Internazionale, numero 1005, 21 giugno 2013)
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