Perché non lo capite? Le colonie aiutano la pace!

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“I palestinesi intenzionalmente insistono su precondizioni che non possiamo accettare: le colonie non cambiano di una virgola la nostra capacità di giungere ad un accordo”. Insomma: più colonie ci lasciate costruire e più facilmente potremo arrivare ad un accordo con voi. E’ il parlamentare Akunis a chiarire una volta di più in cosa consiste la volontà di pace di Israele.

Effettivamente sono sempre più insopportabili, insistenti e lamentosi, questi benedetti palestinesi: da decenni non sanno ripetere altro che “colonizzazione” e “occupazione”, invece di accogliere le sempre generose offerte di pace che vengono dallo stato che da sessant’anni occupa la loro terra.

In queste settimane si è scomodato perfino il primo ministro Netanyahu, per ricordare nuovamente che la pace sarebbe a portata di mano se i palestinesi accettassero di non pretendere più nulla su Gerusalemme, di rinunciare ad avere una forza di sicurezza, smilitarizzando qualsiasi apparato che possa difendere un Paese attaccato quotidianamente dal più potente esercito del mondo; di dimenticare per sempre migliaia di arabi israeliani attraverso il “riconoscimento di Israele come Stato ebraico” e accettando -per ultimo- tutte le regole di sicurezza stabilite dall’esercito israeliano.

Non si comprende perché i palestinesi pretendano che si fermino i cantieri dove si costruiscono senza sosta i nuovi “quartieri ebraici”, eufemismo che nasconde l’oceano di illegalità di una devastazione che sta distruggendo per sempre la Palestina. Ecco a tal proposito le testuali parole pronunciate dal primo ministro: “Insomma, la colonizzazione non ha alcun tipo di effetto sul negoziato di pace”.

E poi, a guardar bene, ha aggiunto l’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, c’è stato un congelamento de facto delle costruzioni a Gerusalemme Est, visto che nessun nuovo bando di gara è stato emesso. Un “temporaneo stop” che serve a dare al segretario di Stato americano John Kerry una possibilità per giungere alla pace.

Ma basta aprire Haaretz per leggere dell’ultimo piano urbanistico per l’insediamento di Eli: è stato approvato dalla commissione competente dopo essere stato illegale per 30 anni. Il piano (n. 237), sta per legalizzare non solo le strade e le costruzioni fatte ovviamente sulle terre dei villaggi palestinesi come-Sawiye e Al-Lubban ash-Sharqiya, ma crea un precedente con la sua pretesa di legittimare altri quattro avamposti illegali attorno ad Eli. Interessante notare che le autorità israeliane definiscono il territorio palestinese in questione come “terra di stato”. Questa non è una semplice mossa burocratica: sulla base di una vecchia legge ottomana, le autorità israeliane riescono a trattare la proprietà collettiva dei villaggi palestinesi come se fosse senza padrone, dichiarandola “proprietà statale”, da assegnare -chissà come mai- solo ad ebrei.

La pensa diversamente l’associazione israeliana Peace Now, che dà l’allarme: “Non è mai stata così intensa la colonizzazione israeliana in questi ultimi sette anni come nel primo trimestre del 2013. Tra gennaio 2013 e marzo 2013, è stata avviata la costruzione di 865 nuove unità abitative, tre volte di più rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno (gennaio-marzo 2012) e, se teniamo conto dell’ultimo trimestre del 2012, siamo di fronte a un sorprendente aumento del 355 per cento. Qualsiasi governo impegnato per la pace -conclude Peace Now- non avrebbe acconsentito alla continuazione della costruzione di insediamenti colonici che inevitabilmente danneggia le possibilità di pace».

Ma intanto, con quella schizofrenia che solo in questo maledettissimo fazzoletto di terra si alimenta da cent’anni, i media israeliani in queste ore si sono con forza schierati con i manifestanti che chiedono libertà e dignità. Le televisioni hanno diffuso le immagini del popolo che manifesta e dell’esercito che lo massacra senza limite. Gli ascoltatori israeliani si sono schierati, senza esitare, dalla parte dei cittadini, dei deboli che col corpo sfidano i blindati.
Ma non vi abbiamo ancora detto che queste cronache non sono andate in onda da Bil’in o da Beit Jala, da Betlemme o da Gaza: “il popolo israeliano -ha dichiarato con enfasi il telecronista- è pienamente solidale con il popolo turco”.

BoccheScucite

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