La giornata di lavoro sotto le fronde dei pochi ulivi secolari sopravvissuti allo sradicamento delle ruspe israeliane, qui nel villaggio di Aboud, è trascorsa come sempre in serenità. “Il prossimo anno tornate dall’Italia a lavorare con la mia famiglia” -ha ripetuto il vecchio Abdallah interpretando la gioia di tutti. Ma stasera il frantoio ha smesso di funzionare e carichiamo in furgone il frutto prezioso di questa terra ferita che non si arrende alla violenza. “Sono pochi chilometri. ci metteremo venti minuti”. Ma dopo poche curve, i lampeggianti di alcuni mezzi militari ci intimano di fermarci. Siamo davanti ad una colonia e i soldati hanno deciso di bloccare tutti i palestinesi che passano di là. Non conta nulla che siano a casa loro, sulla loro terra e sulle loro strade.
Ripartiamo. E Firas commenta: “Avete mai visto che fermino e perquisiscano un colono?”
Ma siamo costretti ancora a frenare bruscamente. Stavolta i soldati ci fanno cenno di passare veloci senza guardare… Per questo non potrò più togliermi dagli occhi quelle nove persone accovacciate come bestie sulla strada, con le mani legate e sedute sulle ginocchia.
Firas non commenta. In silenzio ognuno di noi mastica il dolore condiviso con la rabbia per quei poveri figli di Dio ridotti come cani sul ciglio della strada.
Il detto dice solo che non c’è due senza un terzo che ripete i precedenti, ma è veramente incredibile, dopo due chilometri, dover sbattere contro una lunga fila di automezzi, fermi davanti ad un altro check-point. Anche questo terzo non va contato con le centinaia di check-point “fissi” che fanno impazzire la vita di milioni di palestinesi dentro la loro terra: l’Onu li monitora definendoli “mobili”, solo per farci cogliere la misura senza misura delle vessazioni sui palestinesi. E qui finisce la nostra avventura. Qui proprio non passa nessuno, stasera.
Firas commenta: “Non chiedermi se c’è un motivo e non illuderti di aspettare finché ci lasceranno passare”. Sulla strada del ritorno, più forte dello sconvolgimento interiore per l’umiliazione subita è l’odore aspro del piccolo carico del prezioso frutto dell’ulivo, sudore della fatica che attende l’ultima spremitura per dare il meglio di sé. Più forte è la certezza che quei sacchi domani, quando come ogni sera sarà festa al frantoio, inonderanno il villaggio di fragranza e rallegreranno le case di chi lotta ogni giorno per sopravvivere sulla propria terra.
Un popolo intero da cent’anni ormai viene portato al frantoio di una dolorosissima ingiustizia e davanti agli uomini sembra solo spremuto. Ma più forte è la certezza di diventare, davanti a Dio, proprio attraverso il crogiuolo di questo sacrificio, “l’olio degli ultimi, l’olio dei lottatori, l’olio dei testimoni” (don Tonino Bello).
Aboud, 11 ottobre 2010
Abuna Nandino Capovilla in Palestina con il Team di Tutti a Raccolta 2010
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