di Amira Hass
“Se non potremo andare a Gaza, porteremo Gaza al Cairo”, diceva un attivista pacifista americano. E davvero, per una settimana intera più di mille cittadini/e stranieri, la grande maggioranza proveniente dai paesi occidentali, corrono qua e là per la capitale egiziana a cercare vie e posti per manifestare contro il blocco di Gaza.
“Le manifestazioni al Cairo sono la prova definitiva che Israele ha fatto pressioni sull’Egitto per non permettere l’entrata a Gaza”, diceva un cittadino egiziano (che come altri egiziani, non osava partecipare alle manifestazioni, per paura di punizioni). “Perché l’Egitto deve prendersi questo mal di testa? Sarebbe stato più facile e più semplice mandarli tutti a Gaza e lasciarli perdere”.
Non essendo arrivati gli autobus, gli attivisti francesi sistemano tende e sacchi a pelo fuori dell’ambasciata. Alle 2 di notte, scoprono che il camping è stato circondato da una recinzione e da un fitto cordone di polizia antisommossa. Tende, una barriera di poliziotti, restrizioni di movimento, e un’area sotto assedio. Senza averlo programmato, replicavano la situazione di Gaza in particolare e la situazione palestinese in generale. Resistere alle condizioni di assedio diventa scopo e sfida.
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