Primavera a Tehran

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16 GIUGNO 2013 – 12:58

Slow news di Ugo Tramballi

 
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 Saggio della montagna o pericoloso militarista, è Bibi Netanyahu che sollecita la comunità internazionale a convincersi che in Iran non sia accaduto niente. “Non deve arrendersi al pio desiderio o alla tentazione” di credere che Ruohani sia un moderato, dice Bibi. Quindi non dobbiamo “abbandonare la pressione per fermare il programma nucleare” iraniano. Vedere il mondo con pessimismo per Israele è una predisposizione naturale.

  A Tehran, invece, è successo qualcosa e l’Occidente non dovrebbe ignorarlo. E’ probabile che il neo presidente Hassan Rouhani non sia così moderato come ci illudiamo; che comunque debba fare i conti con un sistema di potere clerical-militare il quale fonda la sua ragion d’essere nel confronto con gli Stati Uniti e Israele. E non è detto che il programma nucleare non sia ormai diventato un assunto nazionale e strategico, un fondamento patriotico anche per i moderati. Certamente lo è il nucleare civile: ogni iraniano pretende il diritto di svilupparlo.

   Quanto meno per i canoni iraniani, Rouhani è un progressista. La sua vittoria è stata inaspettata e inaspettato il numero degli elettori che hanno votato per lui, sapendolo moderato. E’ un segnale forte al regime khomeinista. Non dovremmo perdere un’altra occasione perché è dimostrato che gli ayatollah non concedono facilmente ai riformisti il diritto di vincere le elezioni.

  Mohammad Khatami, l’ultimo leader moderato, è stato presidente dal 1997 al 2005. Se Bill Clinton e soprattutto George Bush lo avessero ascoltato, offrendogli credibilità, la questione nucleare iraniana oggi non sarebbe a questo punto pericoloso. Quattro anni fa con il messaggio della mano tesa e di nuovo l’anno scorso con gli auguri di Noruz, il capodanno persiano, Barack Obama aveva cercato un dialogo. E’ stato preso a pesci in faccia da Khamenei. E’ venuto il momento di ignorare gli insulti e provarci di nuovo.

  E’ presto per abbassare la guardia ma intanto possiamo cambiare lo sguardo arcigno con un sorriso accattivante. Forse il modo migliore perché l’Iran rinunci alla bomba non è la diffidenza armata di Netanyahu ma qualche segnale concreto di fiducia:  annunciare di essere pronti ad alleggerire alcune norme del boicottaggio economico al primo segnale di moderazione del nuovo governo di Tehran; magari rischiare ancor prima qualche gesto unilaterale.

  La crisi siriana ci offre la possibilità di un cambiamento immediato. Perché non riconoscere che la disgregazione della Siria riguarda anche la sicurezza e l’interesse nazionale iraniano come quello saudita del Qatar, degli Usa, dell’Europa della Russia e di Israele? Perché non ammettere che se l’Iran è stato parte del problema oggi è fondamentalmente parte della soluzione della crisi siriana?

   L’elezione di Rouhani è uno di quegli episodi fortunati e inaspettati che ogni tanto la politica offre. La casistica è limitata e il tempo a disposizione mai infinito. Anche con il nostro aiuto può diventare una svolta per risolvere i due problemi più pericolosi del Medio Oriente: la guerra civile siriana e la bomba atomica iraniana. Non è poco.

P.S. Nel titolo del precedente post dedicato all’Islam politico in Turchia ed Egitto, ho inavvertitamente scritto Istambul anziché Istanbul. Me ne sono accorto un secondo dopo aver inviato il post, gridando disperato contro il nulla. Essendo eminentemente un giornalista del XX secolo –rivendicandone tutti i limiti umani- non avevo idea di come correggere quel titolo. Mi scuso sia per il refuso che per l’ignoranza tecnologica.

http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/slow-news/2013/06/primavera-a-tehran.html

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