admin | April 11th, 2011 – 11:55 am
Sono passati esattamente due mesi da quell’11 febbraio che ha segnato la caduta del regime di Hosni Mubarak. Due mesi dalle dimissioni del presidente rimasto in carica poco meno di trent’anni. La Rivoluzione del 25 gennaio, travolgente come tutte le rivoluzioni, ha raggiunto così il suo scopo simbolico, ma la strada per l’uscita piena dal regime costruito in decenni da Hosni Mubarak e dagli uomini a lui più vicini è ancora lunga. Lo sanno bene i milioni di egiziani che continuano a scendere in piazza Tahrir quasi ogni venerdì, e per ragioni diverse. L’ultima volta, venerdì scorso, era per chiedere il processo contro Hosni Mubarak e gli alti papaveri, non solo per corruzione e abuso di potere, ma anche per le centinaia di morti – forse ottocento – uccisi durante le settimane della rivoluzione.
La magistratura, che in Egitto è stato uno dei poteri istituzionali che ha cercato di opporsi al regime, ha già aperto le indagini contro ministri, imprenditori, grand commis legati al vecchio sistema di potere. Ora sta addentando i dossier più scottanti, quelli che riguardano la famiglia Mubarak. E così Hosni Mubarak è comparso in tv, ma solo con un messaggio audio, per difendere se stesso, registrato per il canale satellitare saudita Al Arabiya.
La prima uscita pubblica di Mubarak ha sorpreso gli egiziani, ma non li ha sorpresi né la sua difesa d’ufficio, né la scelta di Al Arabiya per diffondere il suo messaggio. Al Arabiya è di proprietà saudita, e la vox populi dice che tra i protettori dell’ex presidente vi sia proprio la famiglia reale di Riyadh.L’ufficio di Al Arabiya al Cairo, però, smentisce di aver saputo nulla del messaggio audio: una smentita interessante, perché molti, sempre al Cairo, accusano chi dirige l’ufficio di essere stata vicina al regime. Un’accusa fondata anche sul fatto che Al Arabiya, durante la rivoluzione del 25 gennaio, non abbia subito lo stesso trattamento riservato ad Al Jazeera, il cui segnale fu interrotto più volte dalle autorità.
Dal suo ‘esilio’ interno di Sharm el Sheykh, l’ex presidente Mubarak non si è dunque fatto vedere dagli egiziani, ma si è lo stesso difeso – via audio – dall’accusa di aver accumulato una fortuna per sé e per la sua famiglia. Non ho nessun conto bancario all’estero, ma solo in una banca egiziana, ha detto Hosni Mubarak,parlando però di se stesso e di sua moglie. Altra cosa è la situazione patrimoniale dei suoi due figli, Gamal e Alaa. Il primo, suo erede politico, per anni impegnato a disegnare per se stesso un cursus honorum dentro il partito al potere, lo NDP. Alaa, il primogenito, business di successo, su cui però la vox populi del Cairo, la strada araba, raccontava storie di corruzione.
Sulla testa di Mubarak e della sua famiglia pende, ora, un’indagine giudiziaria sulla possibile, illecita distrazione di fondi pubblici, abuso di potere e guadagni fatti attraverso la corruzione. Il Washington Post ha pubblicato sabato scorso un documento in cui il procuratore generale egiziano Abdel Meguid Mahmoud chiede agli Stati Uniti aiuto per rintracciare la bella somma di 700 miliardi di dollari. Dieci volte la cifra dei 70 miliardi di dollari di ricchezza personale di cui si era parlato quando Mubarak si era dimesso e si era rifugiato nella sua lussuosa villa di Sharm el Sheykh, dove – peraltro – molti programmano di andare a manifestare, se non si dovesse arrivare presto a un processo.
La rivoluzione egiziana, dunque, sta per toccare realmente gli uomini più importanti del regime. Non solo la famiglia Mubarak (girano voci, al Cairo, che Gamal Mubarak sia stato già convocato dalla procura, ma non si sia presentato davanti ai magistrati), ma gli uomini più vicini all’ex presidente. Ieri sono stati infatti congelati i beni di due dei pilastri del regime, l’ex storico ministro dell’informazione Safwat el Sherif e l’ex capo di gabinetto Zakaria Azmi. Sono solo le ultime decisioni della magistratura, che nelle scorse settimane ha emesso ordini di arresto, di domiciliari, di divieto di espatrio o di congelamento dei beni per un numero sempre più alto di ex ministri e maggiorenti del regime. Ministri del calibro del vecchio premier Ahmed Nazif, incensato per anni dall’Occidente come il fautore della modernizzazione dell’Egitto. O come il vecchio ministro dell’Agricoltura, Youssef Wali. Quello dell’edilizia, Ibrahim Soliman. Problemi ci sono anche per un nome notissimo in Occidente, il principe saudita Walid bin Talal, al quale sono stati congelati i terreni del gigantesco progetto di Toshka, in Alto Egitto.
Anche Amr Moussa, segretario generale uscente della Lega Araba e candidato alle presidenziali egiziane, ha chiesto una reale epurazione del regime, facendo sua la forte spinta popolare che chiede la testa dei vecchi dirigenti, e dimostrando che la sua corsa alla presidenza è reale. Amr Moussa sa infatti quali corde toccare, nei sentimenti popolari egiziani, e nello stesso tempo la sua mossa conferma quello che si era sempre detto al Cairo, e cioè che la sua ‘promozione’ a segretario generale della Lega Arab, tanti anni fa, fu un modo per allontanarlo dal ministero degli esteri e dalla possibilità di fare ombra a Hosni Mubarak.Promoveatur ut amoveatur.
La foto è una rielaborazione grafica di una foto di Ramy Raoof, dal suo album Flickr.
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