Punizione collettiva per la citta’ di Betlemme

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Se Israele cominciasse a temere la nonviolenza degli oppressi?

Anche stasera le suore del Baby Hospital si chiedono cosa fare e toccano con mano quanto la loro ostinata e mite iniziativa di pregare ininterrottamente da sei anni, tutti i venerdì, lungo il muro di apartheid, cominci realmente a far scricchiolare il mostro di cemento e odio che strangola Betlemme. È il secondo giorno, infatti, che i militari di guardia al muro si dimostrano sempre più nervosi e irritati per la presenza di un numero sempre più imponente di contestatori col rosario in mano. Ieri era il turno di un gruppo di scout che si sono permessi di violare una zona militare con canti e gesti inneggianti alla pace, ma oggi, nello stupore commosso delle suore, stanno arrivando addirittura centinaia di persone! Per questo il soldato, aggrappandosi all’unica possibile arma che ferisce senza uccidere, decide di ripetere ciò che ieri ci era sembrato solo una ragazzata: “Voi vi ostinate ad organizzare assembramenti che palesemente contestano la “barriera” di “separazione”? Ed io allora decido, con l’arma potentissima del sopruso, di punire per colpa colpa vostra tutta questa maledetta città-covo di terroristi!”
E con un gesto tanto legalmente grave, quanto umanamente patetico, il militare decreta l’immediata chiusura della porta di Betlemme. Quell’enorme portone che incanala in un insopportabile imbuto umano tutti coloro che vorrebbero entrare ed uscire dalla città-prigione, per l’arrogante iniziativa del soldato di turno viene sbarrato. Non serve scomodare il diritto internazionale. Chiunque assiste attonito a questa follia è in grado di dare il nome preciso a questa decisione.
Si chiama PUNIZIONE COLLETTIVA.
Per amor del vero, un po’ impaurite ma sempre attentissime a discernere ogni scelta più opportuna, le suore oggi avevano pensato di avvisare preventivamente i soldati del check-point. Senza sentirsi Gandhi, che pure raccomandava di iniziare una manifestazione nonviolenta annunciando anticipatamente che tipo di protesta avrebbe dovuto sopportare l’aggressore, avevano detto che il Rosario contro il muro questo venerdì sarebbe risuonato da centinaia di bocche e camminato con centinaia di donne e uomini i cui passi sono “beati” come quelli “di tutti coloro che annunciano la pace”, come assicura la Bibbia.
Ed ora, davanti alla città che “per colpa nostra” è stata chiusa, nessuno di noi si sogna di proporre di rinunciare alla preghiera del muro: Suor Donatella, invitando tutti a spostarsi qualche metro dal muro, introduce questa “celebrazione di libertà”: “Anche oggi, come facciamo da anni tutti i venerdì, vogliamo chiedere al Signore due cose: che cada questo muro di oppressione e che Dio ci dia ciò che da troppo tempo si leva come un grido da questa terra: pace e giustizia!”
Stavolta ci sarebbe voluto un altoparlante per raggiungere le 150 persone arrivate da ogni parte: un folto pellegrinaggio di milanesi si unisce al team di Ricucire la pace di Pax Christi, l’Agesci della Toscana si mescola al gruppo di turismo responsabile Viaggi e miraggi, l’anziana instancabile donna che abita a dieci metri dal muro e che dal primo giorno viene a pregare con le suore, si trova fianco a fianco con una… coppia di sposini in viaggio di nozze!
Mentre si allungano le ombre di questo tramonto in Terra santa, lunga lunga è la fila di questi nuovi pellegrini che iniziano ad intonare “Ave, Maria”, che supplicano pace e invocano il Padre nostro, che riempiono il ‘sia fatta la tua volontà’ della necessità di giustizia. Ma lunga è purtroppo anche la coda di auto e pullman che sono stati costretti ad aspettare davanti alla porta. E quando, su invito dei giovani scout, formiamo una catena lunga lunga fino a raggiungere il soldato israeliano, tutti percepiamo nel suo agitarsi un imbarazzo che non è solo suo: lo Stato d’Israele, da un po’ di tempo, sta dimostrando una paura sempre più evidente per le proteste nonviolente dei palestinesi. Il nervosismo che si esprime in esagerata violenza sui civili a Bil’in e in tutti i villaggi dove cresce la resistenza nonviolenta, si aggiunge all’imprevista, sproporzionata repressione contro i pacifisti delle navi che raggiungono Gaza ed oggi questo si ripropone al muro di Betlemme. D’altra parte, fra poche ore saremo nel villaggio di At Twani, al Festival della Resistenza nonviolenta, un evento pubblico per affermare di fronte alla stampa che: “Oggi possiamo e dobbiamo celebrare la vittoria della nonviolenza come quotidiana strategia di attaccamento alla nostra terra e difesa della nostra terra e della nostra dignità” (Hafez, leader nonviolento di At Twani).
I 150 pacifisti-terroristi di Betlemme si accomiatano con l’ultimo canto, che domanda pace per Gerusalemme e imprimono nelle ultime foto le loro mani che spingono con tutta la forza possibile il muro. Mentre alcuni chiedono di diffondere queste foto ai nostri media, ai più emozionati sembra addirittura di essere riusciti a spostarlo, questo maledetto, terribile muro… mentre le suore vorrebbero raccontare ai bimbi ricoverati al Baby Hospital quanto l’ostinazione dei giusti stia finalmente sgretolando l’arroganza dei potenti.

Betlemme 5 agosto 2010.

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