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Quei prigionieri ignorati in sciopero della fame

di Alain Gresh

Immaginiamo per un istante duemila prigionieri politici in Cina impegnati in uno sciopero della fame da svariate settimane; oppure altri duemila mobilizzati in Russia in un simile movimento. Senza alcun dubbio le televisioni e le radio, così pronte a render conto delle minacce ai diritti umani in questi lontani paesi, aprirebbero i loro giornali con questa notizia, si indignerebbero per questa violazioni di diritti fondamentali, invocherebbero la reazione delle nostre autorità e persino un loro intervento, per imporre delle sanzioni a Pechino e Mosca.
In effetti duemila prigionieri politici in sciopero della fame esistono, ma in Palestina, e la notizia non sembra interessare molte persone. D’altronde sappiamo da tempo che i palestinesi, gli arabi, i musulmani non sono degli esseri umani come gli altri.
(…) Questo sciopero pone innanzitutto il problema della detenzione amministrativa (cioè senza prove e senza sentenza), una pratica ereditata dall’epoca del mandato britannico, quando Londra combatteva il “terrorismo sionista” (1944-1948). Queste leggi eccezionali furono condannate da numerosi giuristi, tra i quali il dottor Moshe Dunkelblum che avrebbe più tardi presieduto la Corte Suprema Israeliana. Il 7 febbraio 1946 dichiarava: “Queste ordinanze costituiscono una minaccia costante contro i cittadini. Noi giuristi, vediamo in esse una flagrante violazione dei principi fondamentali della legalità, della giustizia e della disciplina. Legalizzano la più perfetta arbitrarietà delle autorità militari ed amministrative. (…) Esse privano i cittadini dei loro diritti e conferiscono alle autorità dei poteri illimitati.” Ma una volta giunti al potere, i sionisti si dimenticarono di queste critiche e rivolsero tali leggi contro gli arabi.
La Corte Suprema Israeliana, che alcuni dipingono come il garante della democrazia nel paese, ha rigettato l’appello dei due prigionieri amministrativi in sciopero della fame da due mesi. In maniera del tutto ipocrita la Corte ha osservato che la pratica della detenzione amministrativa costituisce una “aberrazione in campo giuridico” e che dunque deve essere utilizzata “il meno possibile”, ma ad ogni modo l’appello dei due prigionieri è stato respinto. Ci fu un tempo in cui Israele autorizzava ufficialmente delle “pressioni fisiche moderate” contro i detenuti palestinesi: un po’ di tortura insomma, ma non troppa.. Una decisione che questa “umana” Corte Suprema ha sostenuto fino al 1999 (all’epoca si era nel clou dei “negoziati di pace” tra Israele e OLP!).
Lo sciopero dei prigionieri palestinesi è stato rilanciato dalle dichiarazioni di Richard Falk, l’inviato speciale dell’ONU per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, il quale si è dichiarato “indignato per le continue violazioni dei diritti umani nelle prigioni israeliane. Dal 1967, 750.000 palestinesi, di cui 23.000 donne e 25.000 bambini, sono stati detenuti nelle prigioni israeliane, ossia circa il 20% del totale della popolazione palestinese dei territori occupati” ha ricordato (citato in Armin Arefi, « Israël : la dernière arme des prisonniers palestiniens », AFPS).
Conclusioni: silenzio stampa della maggior parte dei media, nessuna pressione sul governo israeliano, nessuna indignazione morale di tutti quei grandi intellettuali.. La terra continua a girare e certi si stupiscono che i discorsi europei sulla democrazia e i diritti umani suscitino per lo più dei sogghigni nel mondo arabo.
(Traduzione di Francesco Saverio Leopardi, da Le Monde Diplomatique)
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