“Radere al suolo Gaza” – Il ‘momento Bengasi’ ignorato

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REDAZIONE 2 DICEMBRE 2012

di David Edwards – 29 novembre 2012

Il 30 marzo 2011 – nell’undicesimo giorno della guerra della NATO contro la Libia – il professor Juan Coleha scritto, dalla sua poltrona presso l’Università del Michigan:

“L’intervento in Libia è legale [sic] ed è stato necessario per prevenire ulteriori massacri … e se riuscirà ad aver ragione del regime assassino di Gheddafi e a consentire che i libici abbiano una vita normale, sarà valso i sacrifici di vite umane e di denaro. Se la NATO ha bisogno di me, sono pronto.”

Cole si è così dichiarato pronto a equipaggiarsi e a salire in cielo con i bombardieri della NATO. E’ stato un momento straordinario.

La logica, ovviamente, è stata il presunto rischio di un massacro a Bengasi ad opera delle forze di Gheddafi. Cole ha dichiarato a Democracy Now!:

“Hanno ammucchiato carri armati, 30, 40, 50 carri armati,  e li hanno inviati nei centri di luoghi come Zawiyah, e hanno semplicemente sparato sulle folle dei civili, sui dimostranti … E poi hanno cominciato a far rullare i carri armati a est ed erano in procinto di conquistare la roccaforte ribelle, Bengasi. E certamente ci sarebbe stato un massacro nella località allo stesso modo in cui c’era stato a Zawiya, se non fosse stato fermato all’ultimo momento dagli alleati delle Nazioni Unite.”

Questo è stato prevalentemente il prodotto dell’atmosfera febbrile generata ogni volto che la propaganda dello stato e dell’industria prende di mira un “nuovo Hitler” da distruggere (Gheddafi, Milosevic, Saddam Hussein, Assad e altri). Due o tre settimane di indignazione continua da parte di Washington, Londra e Parigi, echeggiata attraverso i media, sono più che sufficienti per generare l’isteria richiesta. Quasi nulla può essere rivendicato, e anche le contestazioni razionali sono denunciate come “apologia della tirannide”. In ‘The Politics of Genocide’ [Le politiche del genocidio] Edward Herman e David Peterson hanno scritto:

“La politicizzazione popolare del concetto di genocidio e la “norma internazionale emergente” dell’intervento umanitario sembrano essere prodotti della scomparsa della Guerra Fredda, che ha cancellato i pretesti standard per gli interventi, lasciando intatto il quadro istituzionale e ideologico per la loro pratica regolare in tali anni.” (Herman e Peterson, The Politics of Genocide, Monthly Review Press, 2010, pp. 10-11).

Con i partiti politici tradizionali che non esercitano più un controllo del carrozzone bellico, la necessità di ‘fare qualcosa’ può essere fatta sgorgare o interrotta come con un rubinetto.

A titolo di rara eccezione, Seumas Milne ha segnalato sul Guardian a proposito di Gheddafi che “in realtà non ci sono prove – anche dalle altre città ribelli riconquistate da Gheddafi – che suggeriscano che egli abbia la capacità o addirittura l’intenzione di attuare un’atrocità simile contro una città armata di 700.000 abitanti.”

Ma la maggior parte della stampa non è stata turbata dall’assenza di prove; l’occidente aveva semplicemente il diritto di agire. Un dirigente ha commentato sul The Times del 21 ottobre 2011:

“Senza questo precoce, anche se sensatamente contenuto, intervento ci sarebbe stato a Bengasi un massacro della scala di Srebrenica.” (Articolo di fondo, ‘Morte di un dittatore’, The Times).

Un editoriale dell’Indipendent concordava:

“C’era una preoccupazione sufficientemente reale che un massacro in stile Srebrenica potesse aver luogo a Bengasi e il governo britannico ha avuto ragione a insistere che noi non lo avremmo permesso.” (Articolo di fondo, “Il lento avanzamento della missione”, Independent, 29 luglio 2011).

“Dobbiamo riportare Gaza al Medioevo”

Tenendo presente quanto precede, si consideri che il 16 novembre, nel terzo giorno del più recente attacco israeliano contro Gaza, con almeno 18 palestinesi già uccidi, la BBC ha riferito:

“Il bombardamento aereo israeliano contro Gaza si è intensificato dopo che è stato autorizzato il richiamo di 30.000 riservisti dell’esercito, nel contesto di notizie di una possibile offensiva terrestre.”

Il consiglio dei ministri israeliano ha rapidamente approvato l’attivazione di 75.000 riservisti, e di centinaia di blindati da combattimento Mercava, di bulldozer blindati e di altri veicoli d’assalto che sono stati trasportati in posizioni di attacco.

Era imminente un massacro? Il vice primo ministro israeliano Eli Yishai è sembrato prometterlo il 18 novembre:

“Dobbiamo riportare Gaza al Medioevo, distruggendo tutte le sue infrastrutture, strade e acqua comprese.”

Un articolo di spicco in prima pagina del Jerusalem Post scritto da Gilad Sharon, figlio dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon, appoggia apertamente le uccisioni di massa:

“Dobbiamo radere al suolo tutti i quartieri di Gaza. Radere al suolo l’intera Gaza. Gli statunitensi non si sono fermati a Hiroshima; i giapponesi non si stavano arrendendo abbastanza in fretta, così loro hanno colpito anche Nagasaki.”.

“Non dovrebbe esserci elettricità a Gaza. Niente benzina o veicoli in movimento, niente. A quel punto chiederebbero davvero un cessate il fuoco.

L’appello a “radere al suolo l’intera Gaza” è stato inaccettabile dal punto di visto di un discorso rispettabile? Apparentemente no per la BBC, che tre giorni dopo ha citato un commento meno invasato di Sharon.

Ricordate il costo umano dell’Operazione Piombo Fuso, l’offensiva israeliana di tre settimane scatenata tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009. Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem ha riferito:

“La dimensione del danno inferto alla popolazione è stata senza precedenti: sono stati uccisi 1.385 palestinesi, 762 dei quali non avevano preso parte alle ostilità. Di questi, 318 erano minori al di sotto dei 18 anni. Più di 5.300 palestinesi sono stati feriti, 350 di questi in modo grave.”

E’ fuor di dubbio, allora, che per Gaza era arrivato ‘momento Bengasi’ intorno al 16 novembre e immediatamente dopo. Un massacro in stile Piombo Fuso di centinaia, forse migliaia, di civili era una possibilità molto reale. Se i razzi di Hamas avessero ucciso più civili, ad esempio a Tel Aviv sarebbe ben potuto accadere.

Mentre Bengasi era fatta a pezzi da un’insurrezione alimentata dall’occidente, Gaza è da decenni sotto occupazione militare e anni di assedio, rafforzando molto la causa morale di un intervento esterno. La fuga da un assalto via terra sarebbe del tutto impossibile per gli 1,6 milioni di abitanti di Gaza, circa metà dei quali costituita da bambini. E mentre Bengasi era schierata contro il mediocre esercito di Gheddafi, Gaza era presa di mira dai più avanzati armamenti che i contribuenti statunitensi possono comprare. Gaza, certamente, stava affrontando un cataclisma superiore a qualsiasi cosa Gheddafi avrebbe potuto infliggere al suo stesso popolo.

Sotto ogni profilo ragionevole, dunque, la causa di una zona d’interdizione al volo, in realtà una zona d’interdizione agli spostamenti terrestri – un genere d’intervento umanitario – era di gran lunga più convincente per Gaza di quanto sia mai stata per la Libia. E tuttavia una ricerca nell’archivio di Alexis non ha trovato menzione in alcun giornale britannico nemmeno dell’ipotesi di creare una zona di interdizione al volo su Gaza. Non c’è stato alcun riferimento a un “momento Bengasi” per Gaza.

Per contro, molti “momenti Bengasi” sono stati identificati in Siria. Un dirigente dell’Independent ha commentato in luglio:

“E’ stata la minaccia imminente ai civili della seconda città della Libia, Bengasi, che è stata decisiva all’ONU per l’intervento esterno. Ma con le notizie che si moltiplicano riguardo al fatto che sono in corso combattimenti per la seconda città della Siria, Aleppo, i segnali sono che anche attacchi aerei governativi non spingeranno a un’azione simile le alleanze occidentali e arabe. Moralmente, ciò deve essere deplorato.”

Non abbiamo visto alcun articolo che suggerisca che un’azione militare occidentale avrebbe potuto essere giustificata per impedire un massacro di civili a Gaza.

La morale e il Medio Oriente – I guerrieri in poltrona si appisolano

Nel 1999 David Aaronovitch (allora all’Independent) ha fatto un annuncio sulla guerra della NATO per ‘difendere’ il Kosovo che ha, ugualmente, sbalordito e ispirato i lettori (Juan Cole tra essi, forse):

“Che cosa sarei pronto a sacrificare personalmente al fine di fermare i massacri e di colpire durissimamente la politica del nazionalismo etnico e razziale? Sarei disposto a combattere o (più realisticamente) tollererei che membri della mia famiglia potessero morire?”

La sua risposta:

“Penso di sì … Dunque sì, per questa causa, se il mio governo me lo chiedesse, farei quanto necessario senza lamentarmi troppo.” (Aaronovitch, “Il mio paese ha bisogno di me”, The Independent, 6 aprile 1999).

Presumibilmente con Gaza di fronte a un altro massacro in questo mese, Aaronovitch deve essere stato nuovamente ansioso di scambiare la sua poltrona con l’abitacolo di un aereo per “colpire durissimamente” il nazionalismo razziale ed etnico. Non esattamente:

“Rifletto su come scrivere a proposito di Gaza senza limitarmi a ripetere i lamenti dell’ultimo decennio. A volte sembra esserci poco che sia, insieme, vero e utile da dire.”

Niente combattimenti cui prendere parte, e non molto da dire. Era tutto solo molto triste. Come Edward Herman e Noam Chomsky hanno commentato in ‘La fabbrica del consenso’ a proposito di un caso simile:

“Anche se la copertura mediatica a proposito delle vittime meritevoli è stata generosa di  dettagli cruenti e ha citato espressioni di indignazione e richieste di giustizia, la copertura delle vittime non meritevoli è stata in chiave minore, intesa a trattenere le emozioni e a evocare generici sentimenti filosofici e di rammarico per l’onnipresenza della violenza la tragedia implicita nella vita umana.” (Herman e Chomsky, Manufacturing Consent, Pantheon Books, 1988, p. 38 [Edizione italiana ‘La fabbrica del consenso’, Il Saggiatore Tascabili, 2008 – n.d.t.).

Anche l’eminente editorialista del Guardian Jonathan Freedland ha scosso la testa con tristezza e si è chiesto se gli israeliani e i palestinesi resteranno “inchiodati in una battaglia che continua a trascinarsi, forse fino alla fine dei tempi.” Freedland si è concentrato sulla “stanchezza”: ‘Avverto un profondo senso di fatica per questa lotta, per le azioni di entrambe le parti’. ‘E dunque sì, sono stanco’, ‘stanco di questo’, ‘sono affaticato’, ‘sono stanco’, ‘sono stanco’, ‘ sono particolarmente stanco’, ‘Non mi sento meno esausto, perché sono stanco’, ‘sono stanco, anche’. ‘e sono affaticato’, ‘questa stanchezza …’ e via di seguito.

Prima dell’insorgere di questa moralità riguardo al Medio Oriente, Freedland era stato il ritratto stesso della vivacità e del vigore interventista. Nel marzo del 2011 ha scritto un pezzo energico sulla Libia intitolato ‘Anche se i rischi sono molto reali, la causa dell’intervento resta forte’. Un ostacolo chiave era che ‘l’Iraq ha avvelenato per un’intera generazione il concetto di “interventismo liberale”’. Non importa:

“Se le nazioni che avevano il potere di fermare questi assassinii preannunciati si fossero tenute da parte, sarebbero state moralmente colpevoli. Bengasi era destinata a diventare un’altra Srebrenica e chi non avesse fatto nulla avrebbe condiviso la stessa vergogna.”

Lo scorso febbraio, ignorando il caos che aveva contribuito a rendere possibile in Libia, Freedland ha riproposto la stessa tesi in risposta alla crisi siriana. L’articolo conteneva un’immagine di bambini siriani che reggevano una vignetta di un Assad dalla testa verde che puntava un Kalashnikov alla testa di una bambinetta che reggeva un ramo d’olivo. Freedland ha scritto:

“L’invasione dell’Iraq nel 2003 ha imbrattato per una generazione l’idea un tempo nota come ‘interventismo liberale’”.

Ha aggiunto: “Adesso abbiamo nuovi problemi. Se non ce ne renderemo conto faremo pagare alla gente di Homs il prezzo dell’errore che abbiamo commesso a Baghdad.”

E a Tripoli! Freedland chiaramente non si è sentito stanco per il prezzo pagato dalle vittime dell’’interventismo liberale’ in Afghanistan, Iraq e Libia.

“Attacco terroristico” a Tel Aviv

A una settimana dall’inizio dell’operazione israeliana Pilastro di Fumo, in un giorno in cui erano stati uccisi 13 palestinesi – con più di 136 persone uccise a quel punto a Gaza in 1.500 attacchi dall’inizio dell’operazione il 14 novembre – 28 persone sono rimaste ferite in un attacco terroristico a Tel Aviv. Il redattore internazionale del notiziario del canale ITV  [britannico] Bill Neely ha commentato: “Una bomba su un autobus di Tel Aviv è stata il primo attacco terroristico nella città da sei anni a questa parte.” E: “La polizia israeliana conferma l’attacco terroristico.”

Abbiamo scritto a Neely: “Bill, gli attacchi contro Gaza sono ‘attacchi terroristici’? Li hai descritti come tali?”

Nelly ha risposto: “Media Lens: Amo quello che cercate di fare, mantenerci onesti, ma la pignoleria e il rifiuto di comprendere gli equilibri sono sempre stati la vostra debolezza.” [n.d.t.: Nelly scrive qui e oltre, utilizzando abbreviazioni Twitter che non è possibile rendere in italiano].

Neely ci ha scritto di nuovo in un altro messaggio Twitter: “Tu e Media Lens avete assolutamente ragione. Il linguaggio è molto importante. Ma una bomba su un autobus, come un missile, è un’arma terroristica.”

Neely si è dimostrato chiaramente d’accordo sul fatto che i missili sono armi terroristiche. Così gli abbiamo chiesto: “Bill, d’accordo. Stando così le cose, hai mai fatto riferimento in un servizio giornalistico in TV agli ‘attacchi terroristici’ di Israele?”

Neely ha risposto: “Solo per essere chiari: pensate che le bombe britanniche sull’Afghanistan siano terrorismo? O su Berlino nel 1944?”

Abbiamo risposto: “Ovviamente sì. Anche Winston Churchill lo pensava.”

Abbiamo trasmesso un commento scritto da Churchill a Arthur Harris, comandante in capo del Comando Bombardieri della RAF nel 1945:

“Mi sembra che sia arrivato il momento di riconsiderare i bombardamenti delle città tedesche al solo fine di accrescere il terrore, anche se sotto altri pretesti.” (‘Blitz, Bombing and Total War’ [Blitz, bombardamenti e guerra totale], Channel 4, 15 gennaio 2005).

Neely ha replicato: “Gli stati usano il terrore. La Gran Bretagna lo ha fatto in guerra. Ma lo fanno anche i gruppi e noi dovremmo dirlo.”

Abbiamo tentato di nuovo: “Bill, non stai rispondendo. Hai descritto in TV gli attacchi di Hamas come ‘terrorismo’. E gli attacchi israeliani, statunitensi e britannici?”

Neely semplicemente non ha risposto alla nostra domanda. Ma come avrebbe potuto? La verità, ovviamente, è che la ITV non si riferirebbe mai ad essi come ad ‘attacchi terroristici’. Parole come ‘terrore’, ‘terrorismo’, ‘militanti’, ‘regime’, ‘reticente’, ‘troglodita’ e ‘controverso’ sono usate per descrivere i governi dei nemici ufficiali, non del nostro stesso governo e di quelli dei suoi principali alleati.

“E’ questo che si intende per ciclo della violenza?”

L’attentato del 21 novembre all’autobus che a ferito 28 israeliani (inizialmente erano stati segnalati dieci feriti) è stato per i media una notizia molto più importante che non l’uccisione di 13 persone a Gaza in quel giorno. Il pregiudizio è stato riflesso dal tono della copertura. La BBC ha riferito “Orrore in Israele”, mentre in precedenza aveva dato notizia  di “una notte difficile per la popolazione di Gaza”, dopo che erano stati colpiti 450 obiettivi con schiere di morti.

Normalmente la BBC ama confrontare lo schieramento dei materiali disponibili ai combattenti, per esempioqui e qui.  Ma durante l’Operazione Pilastro di Fumo, l’emittente si è interessata molto di più al confronto delle gittate dei razzi artigianali di Hamas. In questo esempio ingannevole dell’’equilibrio’ della BBC, due mappe mostrano le “Aree colpite a Gaza da Israele” e le “Aree colpite in Israele e nella West Bank dai militanti di Gaza” (solo i palestinesi sono ‘militanti’). L’impressione fornita è quella di due minacce grosso modo uguali.

Il grafico della BBC mostra anche l’esatta “portata dei razzi di Hamas”. Ma non c’è stato alcun grafico diquesto tipo che confrontasse la potenza di fuoco palestinese e quella israeliana. Forse la giustapposizione di armi artigianali con una lunga lista di armi molto potenti ad alta tecnologia sarebbe stata troppo assurda, persino imbarazzante.

Il pedaggio delle vittime finale dell’ultimo massacro è orripilante: 103 delle 148 persone uccise a Gaza erano civili. Di queste, 30 erano bambini, dodici di loro sotto i dieci anni. Più di 1.000 palestinesi sono rimasti feriti. Sei israeliani sono stati uccisi, due di loro soldati. Questo grafico offre un confronti sconvolgente del numero degli uccisi di entrambe le parti a partire dal 2000. E questa eccellente piccola animazione chiede: “E’ questo che si intende per ciclo della violenza?”

Inevitabilmente il presidente Obama ha affermato: “Continueremo ad appoggiare il diritto di Israele a difendersi”.

Noam Chomsky è stato una delle rare voci che ha proposto la contro-argomentazione:

“Non ci può essere autodifesa quando si occupa militarmente la terra di altri. Non è difesa. Chiamatela come volete, ma non è difesa.”

Obama ha detto anche: “Non c’è paese al mondo che tollererebbe piogge di missili sui propri cittadini lanciati dall’esterno dei propri confini”.

Provi a dirlo ai familiari dei defunti in Pakistan, Afghanistan e Yemen. L’ironia è morta, sembra. Uccisa dal fuoco dei droni!

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  http://www.zcommunications.org/flatten-all-of-gaza-the-benghazi-moment-that-didnt-matter-by-david-edwards

Originale: Media Lens

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

http://znetitaly.altervista.org/art/8851

Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

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