Di Ramzy Baroud – 15 febbraio 2021
Motivati dalla loro giustificabile avversione per l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, molti analisti hanno frettolosamente dipinto un quadro troppo ottimistico di come l’amministrazione democratica Biden potrebbe rapidamente deviare dalla linea desolante tracciata del suo predecessore repubblicano. Questa ingenuità è particolarmente rilevabile nell’attuale interpretazione della questione israelo-palestinese, che promuove ancora una volta l’illusione che i democratici avranno successo laddove i loro rivali politici hanno fallito.
Ci sono evidenti differenze nell’approccio dei democratici alla questione israelo-palestinese rispetto a quello dei repubblicani, ma solo in termini di ultra-nazionalismo e lessico politico, non di politica. Questa affermazione è confermata dal linguaggio ufficiale del partito su Palestina e Israele, in particolare quando quel linguaggio è considerato nel contesto di politiche applicate sul campo.
Prendiamo le osservazioni del nuovo Segretario di Stato americano Antony Blinken durante un’intervista alla CNN della scorsa settimana. I commenti di Blinken ci hanno ricordato la fuorviante politica estera americana delle precedenti amministrazioni democratiche. Le sue parole possono sembrare un completo allontanamento dall’approccio bellicoso, ma diretto, del suo predecessore, Mike Pompeo.
“Guardando da un punto di vista pratico e tralasciando gli aspetti giuridici della questione (l’occupazione illegale israeliana delle alture del Golan in Siria), il Golan è molto importante per la sicurezza di Israele”, ha detto Blinken. Più tardi nell’intervista, ha nuovamente riconosciuto la questione della legalità, escludendola come un problema. “Le questioni giuridiche sono un’altra cosa”, ha detto, prima di continuare a parlare in modo vago e disinvolto del futuro della Siria.
Questo può essere paragonato alle dichiarazioni fatte da Pompeo a novembre. “Questa è una parte di Israele e una parte centrale di Israele”, ha detto mentre era in visita alle alture occupate del Golan accompagnato dal ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi. La posizione di Pompeo è stata debitamente condannata da palestinesi e arabi, e criticata da vari governi e organismi internazionali. La posizione di Blinken, tuttavia, ha generato poca attenzione da parte dei media e un rimprovero trascurabile, o, al massimo, rilevante a livello regionale o internazionale. Non avrebbe dovuto essere così.
Riconoscendo l’importanza della questione della legalità, ma poi “tralasciandola” a favore della questione apparentemente più urgente della sicurezza israeliana, Blinken ha semplicemente difeso la situazione attuale: quella dell’occupazione militare israeliana perpetua, sostenuta con entusiasmo anche dai repubblicani.
Questa è la dottrina democratica su Palestina e Israele, in vigore in gran parte dall’era di Bill Clinton. L’attuale amministrazione di Joe Biden sta senza dubbio seguendo lo stesso modello, che consente a Washington di offrirsi come interlocutore, un “onesto mediatore di pace”, aiutando allo stesso tempo Israele a raggiungere i suoi obiettivi strategici a spese dei palestinesi e dei popoli arabi.
La chiara distinzione tra le argomentazioni di democratici e repubblicani su Palestina e Israele è un fenomeno relativamente nuovo. È interessante notare che fu l’amministrazione repubblicana di George H.W. Bush che, nel 1991, a stabilire l’attuale narrativa democratica sulla Palestina. Alla fine della prima guerra del Golfo, Bush ha sostenuto i colloqui multilaterali tra Israele e gli stati arabi a Madrid. Nel giro di pochi anni fu sviluppato un linguaggio americano completamente nuovo.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti hanno soppiantato il linguaggio sul processo di pace nella narrativa di politica estera repubblicana con uno nuovo, dichiaratamente dedicato alla lotta al “terrorismo islamico”. Israele ha usato abilmente questo nuovo linguaggio e condotta americana in Medio Oriente per presentarsi come alleato nella “guerra al terrorismo” globale guidata dagli Stati Uniti.
Per evitare il crollo dell’egemonia politica globale degli Stati Uniti a seguito dell’invasione dell’Iraq del 2003, l’amministrazione Obama ha rapidamente ristabilito la tradizionale posizione americana, offrendo ancora una volta la mediazione statunitense come artefice della pace in Medio Oriente. Tuttavia, il presidente Barack Obama ha lavorato per ristabilire la rilevanza dell’America come pacificatore. La sua amministrazione utilizzava ancora l’ambiguo linguaggio del passato; attribuendo costantemente l’onere ai palestinesi, ricordando gentilmente a Israele le sue responsabilità nei confronti della popolazione civile palestinese.
Il discorso di Obama al Cairo nell’aprile 2009 rimane il più potente, eppure incriminante, promemoria dei numerosi errori morali e mancanze legali della politica estera statunitense, in particolare sotto le amministrazioni democratiche. Il discorso, che avrebbe dovuto servire come momento spartiacque nell’approccio degli Stati Uniti al Medio Oriente, ha completamente esposto la parzialità americana nei confronti di Israele, basata principalmente sulla manipolazione emotiva e su travisamenti storici.
Obama si è deliberatamente alternato tra la persecuzione delle comunità ebraiche nel corso della storia e il “diritto” di Israele di garantire la propria sicurezza a spese dei palestinesi oppressi, come se la sistematica violenza israeliana fosse un autentico tentativo di prevenire un’ulteriore persecuzione degli ebrei nel mondo. Al contrario, Obama ha insistito, inflessibilmente e pretestuosamente, che “i palestinesi devono abbandonare la violenza”, dipingendo così loro e la loro legittima resistenza come il vero ostacolo a qualsiasi pace giusta in Palestina.
Incolpare la vittima in questo contesto è stato un pilastro centrale della politica estera degli Stati Uniti, condivisa da democratici e repubblicani. Tuttavia, mentre i repubblicani ignorano sempre più i diritti e, talvolta, l’esistenza stessa dei Palestinesi, i democratici, che continuano a sostenere Israele con uguale passione, usano un linguaggio più moderato, anche se insignificante.
Per i democratici, i palestinesi sono gli istigatori della violenza, sebbene Israele possa, a volte, aver usato “una forza sproporzionata” nella sua risposta. Per loro, il diritto internazionale esiste, ma può essere facilmente “messo da parte” in nome della sicurezza israeliana. Per loro esistono confini riconosciuti a livello internazionale, ma questi sono flessibili al fine di soddisfare i timori demografici, gli interessi strategici e la “superiorità militare” di Israele.
Quindi, è più facile screditare l’agenda di politica estera di Trump, Pompeo e altri repubblicani, poiché il loro linguaggio e le loro azioni aggressivi e sprezzanti sono inequivocabilmente discutibili. Il dibattito democratico non può essere censurato facilmente, poiché utilizza un insieme di linguaggio superficiale, luoghi comuni politici e storici, accuratamente sviluppati con l’obiettivo di riportare gli Stati Uniti al posto di guida di qualsiasi processo politico sia in corso.
Mentre il programma democratico rimane diretto ad armare e difendere Israele, non fornisce a palestinesi e arabi alcun cambiamento significativo, perché il cambiamento sostanziale può avvenire solo nel rispetto del diritto internazionale. Sfortunatamente, secondo la logica di Blinken, tali questioni apparentemente banali dovrebbero, per ora, essere “messe da parte.”
Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Istanbul Zaim University (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net
Traduzione: Beniamino Rocchetto