tratto da: Beniamino Benjio Rocchetto è con Ramzy Baroud
giovedì 9 sett 2021 14:09
Di Ramzy Baroud – 6 settembre 2021
https://arab.news/gen3c
Una grande campagna dell’esercito israeliano sta imperversando nei social media. L’obiettivo non dichiarato di quella che è conosciuta come l’iniziativa “#Untie_Our_Hands” (Dateci Mano Libera) è il desiderio di uccidere, senza alcuna responsabilità, sempre più manifestanti palestinesi alla recinzione perimetrale di Gaza. La campagna è stata motivata dall’uccisione di un cecchino israeliano, Barel Hadaria Shmueli, che secondo quanto riferito è stato colpito dal lato palestinese della barriera il 21 agosto.
Viene immediatamente da chiedersi: cosa vogliono i soldati israeliani, considerando che hanno già ucciso oltre 300 manifestanti palestinesi disarmati e ferito e mutilato altri migliaia alla recinzione di Gaza durante quella che i palestinesi hanno definito la “Grande Marcia del Ritorno” tra il 2018 e il 2020?
Questa “Marcia” viene ora riproposta, anche se spesso si svolge di notte, con migliaia di giovani palestinesi frustrati che si radunano a migliaia, intonando canti contro l’occupazione israeliana e, a volte, lanciando sassi contro le forze israeliane.
Mesi dopo l’attacco israeliano a Gaza, una guerra relativamente breve, ma devastante, dal 10 al 21 maggio, la situazione soffocante nell’enclave assediata non è cambiata: lo stretto assedio israeliano, i cecchini, l’occasionale bombardamento notturno, la disoccupazione dilagante, le chiusure e la mancanza di rifornimenti vitali, dall’acqua pulita al cemento, fino ai farmaci antitumorali.
Quindi non dovrebbe sorprendere che i palestinesi a Gaza, in particolare i giovani, cerchino disperatamente una piattaforma per esprimere la loro giustificata rabbia per questa continua miseria, quindi, le rinnovate proteste di massa alla recinzione.
I politici e i media israeliani esagerano intenzionalmente la “minaccia” posta dai manifestanti di Gaza alla sicurezza di Israele. Parlano di “palloncini incendiari” come se fossero bombe da 500 libbre sganciate da aerei da combattimento. Sono terrorizzati dalla prospettiva che i giovani di Gaza “violino il confine”, con riferimento alle recinzioni che Israele ha arbitrariamente stabilito intorno a Gaza senza rispettare alcuna demarcazione del cessate il fuoco come riconosciuto dall’ONU.
Questo allarmismo è ora tornato sotto forma di vendetta, con l’uccisione del cecchino israeliano che offre ai politici israeliani l’opportunità di presentarsi come difensori dell’esercito e paladini della “sicurezza” di Israele. Ne è seguita rapidamente una caccia alle streghe politica nei confronti di coloro che avrebbero “legato le mani delle nostre truppe”.
Questa stessa affermazione è stata fatta da Naftali Bennett nel 2019 prima di diventare Primo Ministro del Paese. “L’Alta Corte sta legando le mani delle truppe delle Forze di Difesa Israeliane”, ha detto Bennett, promettendo di “liberare l’IDF dall’Alta Corte”.
Un anno prima, Bennett ha offerto maggiori dettagli su come intende porre fine alle proteste palestinesi alla barriera di Gaza. Rispondendo a una domanda durante un’intervista alla radio dell’esercito israeliano su cosa farebbe se fosse il Ministro della Difesa del Paese, ha risposto: “Non permetterei ai terroristi di attraversare il confine da Gaza ogni giorno, e se lo fanno, dovremmo sparare a vista. I terroristi di Gaza non dovrebbero entrare in Israele. Proprio come in Libano, Siria o altrove, dovremmo sparare per uccidere”.
L’enfasi su “uccidere” in risposta a qualsiasi forma di protesta palestinese sembra essere il denominatore comune tra i funzionari israeliani, i comandanti militari e persino i soldati comuni. Questi ultimi, che presumibilmente sono dietro la campagna sui social media, sembrano godersi il loro periodo di servizio al confine perimetrale di Gaza. I cecchini israeliani, secondo le loro stesse dichiarazioni, tengono il conto del numero di palestinesi a cui sparano, cercando di battere i propri record a vicenda e si rallegrano in video quando mettono a segno un “colpo preciso” su di un manifestante, a dimostrazione dell’orribile violenza contro i giovani palestinesi.
I cecchini israeliani al muro di confine di Gaza lavorano in coppia. Una terza persona, nota come “localizzatore”, aiuta man mano i cecchini a individuare il loro prossimo obiettivo. Eden, un cecchino israeliano in una dichiarazione al quotidiano israeliano Haaretz, nel marzo 2020, ha manifestato il suo orgoglio per il macabro traguardo raggiunto da lui e dalla sua squadra:
“Quel giorno, la nostra squadra ha avuto il maggior numero di successi, 42 in tutto,” ha detto. “Il mio localizzatore non avrebbe dovuto sparare, ma gli ho dato tregua, perché ci stavamo avvicinando alla fine del nostro periodo e ne avevamo gambizzati a decine. Alla fine vuole lasciare con la sensazione di aver fatto qualcosa, di non essere stato un cecchino solo durante quel servizio. Quindi, dopo aver ottenuto alcuni successi, gli ho suggerito di cambiarci. Ne ha colpiti e gambizzati circa 28 lì, direi”.
Tali testimonianze sono ulteriormente convalidate dalle riprese video dei cecchini israeliani che festeggiano dopo aver sparato a giovani palestinesi al perimetro. Nell’aprile 2018, un video di soldati esultanti, insieme a commenti che indicano che alcuni israeliani non hanno alcun rispetto per la vita dei palestinesi, è stato divulgato ai media internazionali. Ne ha parlato anche la CNN.
Questo fenomeno violento non è limitato a Gaza. Da anni infuria il dibattito sulla politica israeliana del “sparare per uccidere” nei Territori Palestinesi Occupati. Nel 2017, Human Rights Watch (HRW) ha collegato l’aumento del numero di palestinesi uccisi per mano di soldati dal grilletto facile al linguaggio violento utilizzato dallo stesso governo israeliano.
HRW “ha documentato numerose dichiarazioni dall’ottobre 2015, da parte di alti politici israeliani, tra cui il Ministro dell’Interno e il Ministro della Difesa, che invitano la polizia e i soldati a sparare per uccidere i presunti aggressori, indipendentemente dal fatto che la forza letale sia effettivamente necessaria per esclusiva autodifesa”, si legge nel rapporto.
Questo problema è stato evidenziato dall’esecuzione di un palestinese inabile, Abdel Fattah Al-Sharif, nella città occupata di Al-Khalil, Hebron, nel marzo 2016, e dall’uccisione di Ahmad Erekat a un posto di blocco militare in Cisgiordania a luglio 2020. Non solo Erekat non rappresentava assolutamente una minaccia per l’incolumità dei soldati di occupazione, ma secondo una dichiarazione di 83 ONG palestinesi e internazionali, “fu lasciato morente a dissanguare per un’ora e mezza mentre le forze di occupazione israeliane gli negavano l’accesso alle cure mediche”.
Considerando il numero sproporzionato di vittime palestinesi, è difficile capire cosa vogliono i soldati israeliani, i generali dell’esercito e i politici quando parlano di “dare mano libera”. Molto più sconcertante è l’apatia della comunità internazionale mentre gli israeliani discutono su quanti altri palestinesi dovrebbero essere uccisi.
Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari bali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net
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