13 gennaio 2012
Un rapporto dell’Unione Europea, visionato dal quotidiano britannico The Independent, rivela la preoccupazione per la continua colonizzazione della Cisgiordania da parte di Israele che, con le sue politiche, “sta chiudendo la porta alla speranza di una soluzione a due Stati”. E mostra il pessimismo europeo sulla speranza che lo Stato palestinese sia finalmente riconosciuto.
di Donald Macintyre – traduzione a cura di Cecilia Dalla Negra *
La presenza palestinese nella maggior parte della Cisgiordania occupata è stata messa “continuamente in pericolo” da Israele, tanto da aver “chiuso le porte” alla possibilità di una soluzione politica a due Stati: è quanto afferma un rapporto dell’UE visionato dal quotidiano britannico The Independent.
Il rapporto, approvato da alti ufficiali di Bruxelles, afferma che il sostegno europeo – anche per quanto riguarda una vasta gamma di progetti di costruzione – ha adesso bisogno di convergere sulla protezione dei “sempre più isolati” palestinesi nell’Area C, un settore che comprende 124 insediamenti ebraici – illegali secondo il diritto internazionale – sotto il controllo diretto di Israele. Area che rappresenta il 62% della Cisgiordania, e che comprende la “terra più fertile e ricca di risorse”.
Con il numero di coloni israeliani attualmente raddoppiato, e il calo della popolazione palestinese soprattutto nelle aree rurali, il rapporto avverte senza mezzi termini che “se il trend attuale non si fermerà e sarà invertito, la costituzione di un possibile stato palestinese nei confini pre-1967 sembra più remota che mai”.
Il documento dell’Unione Europea, composto di 16 pagine, è ancora più critico riguardo la demolizione di case e fattorie, il pianificato regime proibitivo vigente, la crescente espansione delle colonie, il muro di separazione militare, gli ostacoli alla libertà di movimento e il divieto di accesso (imposto ai palestinesi, ndt) alle vitali risorse naturali della regione, comprese terra e acqua, che sta erodendo il livello di vita dei palestinesi in gran parte della Cisgiordania: risorse da cui dipendono le speranze di vita del futuro stato palestinese.
I mediatori internazionali stanno cercando di persuadere entrambe le parti a raggiungere un accordo di pace attraverso il dialogo, che è in fase di stallo a causa della costruzione di insediamenti israeliani e in seguito alla recente dichiarazione unilaterale di riconoscimento di uno stato indipendente alle Nazioni Unite da parte dei palestinesi.
Il rapporto mostra quanto drammaticamente sia cresciuta la popolazione dei coloni ebrei – attualmente 310 mila – nell’area C a spese della popolazione palestinese, stimata attualmente intorno alle 150 mila unità. Nel 1967, solo nell’area agricola della Valle del Giordano, si contavano tra i 200 mila e i 320 mila palestinesi.
L’Area C è una delle tre zone definite dagli Accordi di Oslo del 1993. L’Area A comprende le principali città palestinesi ed è sotto il controllo dell’ANP. L’Area B è sotto il controllo condiviso di israeliani e palestinesi.
Per quanto l’Area A sia la più popolata, il rapporto afferma che “la via di accesso ad una soluzione a due stati si sta rapidamente chiudendo a causa della continua espansione delle colonie israeliane e delle restrizioni di accesso all’Area C per i palestinesi (che) compromettono le risorse naturali e la terra essenziali per il futuro demografico e per la crescita economica di un futuro stato di Palestina”.
Il rapporto afferma inoltre che l’Unione Europea deve “a livello politico” persuadere Israele a ridefinire l’Area C, ma che allo stesso tempo dovrebbe “sostenere la presenza palestinese all’interno dell’Area ed assicurarne lo sviluppo”.
Il documento sostiene anche che la distruzione di case, edifici pubblici e luoghi di lavoro è il risultato del “trasferimento forzato della popolazione nativa”, e che la costruzione è effettivamente proibita (ai palestinesi, ndt) sul 70% della terra, e soprattutto in zone destinate per la gran parte alla costruzione di insediamenti da parte dell’esercito israeliano.
Nei fatti, si legge nel documento, la costruzione per i palestinesi è consentita solo nell’1% dell’Area C, “per la maggior parte già edificata”. Il rapporto dell’Unione Europea contiene anche raccomandazioni di breve e medio periodo, tra cui un appello affinché Israele cessi la demolizione di case e strutture costruite senza permesso, già 4.800 dal 2000.
Ma si rivolge anche alla stessa Unione Europea perché sostenga un programma di costruzioni che comprenda scuole, cliniche, pozzi e altri progetti infrastrutturali. L’Unione Europea dovrebbe anche essere più incisiva nel sollevare obiezioni riguardo “movimenti involontari della popolazione, spostamenti, sfratti, espropri e migrazioni interne”.
Il rapporto inoltre sostiene che l’Area C – insieme a Gerusalemme Est – non hanno beneficiato della graduale inversione del collasso economico della Cisgiordania a partire dalla seconda Intifada nel 2000, che ha visto una crescita del 9% nel 2010.
Avverte anche che l’attività economica palestinese è prevalentemente “di bassa intensità”, in contrasto con l’agricoltura specializzata, l’esportazione diretta dalle fattorie da parte dei coloni ebrei della Valle del Giordano, “che utilizzano la maggior parte delle risorse acquifere dell’area”.
Infine, rappresenta una “grave preoccupazione” il fatto che pozzi e cisterne siano stati distrutti dalle autorità israeliane a partire dal gennaio del 2010. Un’accusa negata e rigettata dal ministro degli Esteri israeliano.
*L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano The Independent
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