Rivoluzione atto Secondo

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admin | November 27th, 2012 – 4:35 pm

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Perché proprio oggi? Perché non definire Rivoluzione atto Secondo la battaglia di un anno fa a via Mohammed Mahmoud? Oppure la defenestrazione del Consiglio militare supremo da parte del presidente Mohammed Morsy, lo scorso agosto? Perché non scegliere una delle tante manifestazioni a Tahrir che, in differenti momenti in questo oltre anno e mezzo di rivoluzione/transizione, hanno spostato la direzione politica degli eventi, anzi, semmai raddrizzato la barra?

La prima risposta, quella che mi sale in gola, è: d’istinto. Le immagini, le foto, le facce, la compattezza, quella ‘chiamata’ che porta di nuovo in piazza tutti, e non solo una parte. E quando dico tutti, non parlo della ‘massa organizzata’, delle dimostrazioni politicamente targate. Dico: tutti, quel ‘tutto inclusivo’ che ha fatto la Thawra del 2011.

Vorrei, anzi, che i miei amici che in questo momento si trovano al Cairo mi confortassero, o mi smentissero. Con il loro, di istinto. Con la loro lettura degli avvenimenti (Gennaro, che mi dici?).

La seconda risposta, depurata da quella ineludibile passione che le cose egiziane mi provocano, è che una soglia è stata superata. Di quelle soglie che gli egiziani colgono molto prima di noi: la loro pazienza arriva sin dove deve arrivare, poi si capisce che non si può andare oltre. E il decreto costituzionale del presidente Mohammed Morsy è andato oltre. Soprattutto perché ha tentato di blandire la rivoluzione, all’inizio e alla fine di uno stringato decreto in cui i nodi fondamentali erano concentrati nei punti centrali: il presidente egiziano ha in un colpo solo dato il ben servito al procuratore generale (uomo espressione del vecchio regime), ha dato altri due mesi di tempo per approvare la bozza della nuova legge fondamentale all’assemblea costituente, che non potrà essere sciolta, e ha poi ampliato i suoi poteri tanto da renderli inappellabili, almeno “sino all’approvazione della costituzione e all’elezione di una nuova assemblea del popolo”.

Prima e dopo, ha blandito il fronte rivoluzionario, promettendo giustizia per i ‘martiri’, per gli shuhadadella rivoluzione, e ha promesso di difenderla, la Thawra.

Non è ovviamente bastato, il prima e il dopo della lettera del decreto, per convincere le opposizioni, che già avevano sperimentato la capacità di Morsy di agire con mosse veloci, e a sorpresa. Come, ad agosto, il benservito alle due figure determinanti dell’apparato militare, i generali Tantawi e Anan. Il decreto costituzionale, insomma, era troppo simile alla mossa politica di agosto: in questo caso, doveva regolare i conti con il sistema giudiziario egiziano, dove – sì – i cascami del vecchio regime sono lì, a ostacolare la rivoluzione. Difficile, però, non vedere che in quello stesso sistema giudiziario ci sono stati, negli anni precedenti alla Thawra, uomini e semi necessari per fecondare l’opposizione a Mubarak. Nell’alveo della magistratura egiziana, insomma, c’era il procuratore generale parte del regime, e il Club dei giudici che al regime si era opposto.

Detto questo, la magistratura egiziana è ancora una volta uno di quei settori centrali perché un regime, al Cairo, si possa formare e sostenere e reggere alla prova del tempo. Lo è stato negli scorsi decenni, in cui la sua indipendenza è stata via via erosa. E lo anche oggi. Niente di nuovo sotto al sole, dunque. Salvo il fatto che oggi – novembre 2012 – c’è un paese che ha già provato quanto la sua compattezza e la sua capacità di ribellione sia determinante per cambiare la sua storia.

Hamdin Sabbahi, il candidato alle presidenziali più forte tra i tre espressi da Piazza Tahrir, ha detto qualche giorno fa che “la rivoluzione non accetterà un nuovo dittatore”. Il senso di quello che in questi ultimi giorni e soprattutto in queste ore sta succedendo al Cairo è, secondo me, tutto racchiuso in questa frase. Non è possibile costruire un nuovo Egitto senza avere dalla propria parte chi ha fatto la rivoluzione, se non si vuole arrivare alla guerra civile.

Non credo che la Fratellanza Musulmana voglia e possa arrivare allo scontro con la rivoluzione egiziana, anche se sta giocando la stessa carta giocata da Hosni Mubarak per decenni: l’appoggio di un’amministrazione americana (in questo caso quella del secondo mandato di Barack Obama) che dell’Egitto non può fare a meno nello scacchiere regionale. Troppo pragmatica. Come ha detto Sandmonkey, blogger di lunga data e una delle figure di Tahrir più interessanti, in uno dei suoi tweet, “stiamo ricominciando a giocare. Ora tocca a te – Morsy – muovere”

Per la playlist,  ho scelto uno dei brani dell’ultimo album dei Radiodervish, Human, in uscita presto. In fondo ai tuoi occhi parla anche di Tahrir.

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