REDAZIONE 3 GENNAIO 2014
Samer Issawi, prima e durante lo sciopero della fame
di Richard Falk – 29 dicembre 2013
Negli ultimi tre anni prigionieri palestinesi principalmente detenuti illegalmente in prigioni israeliane, hanno attuato una serie di scioperi della fame potenzialmente mortali, per contestare la detenzione in custodia amministrativa (cioè senza rinvio a giudizio, senza capi di accusa, e senza accesso alle prove asseritamente incriminanti), procedure di arresto abusive spesso violente (compresi arresti eseguiti brutalmente nottetempo e in presenza di familiari, detenzione per interrogatori prolungati che violano gli standard internazionali, per esempio, della durata di 22 ore alla volta, e conseguente deprivazione del sonno) e condizioni di detenzione deplorevoli (tra cui il trasferimento illegale in prigioni israeliane, la negazione di visite familiari, e l’isolamento per lunghi periodi).
Nessun recente prigioniero palestinese è stato oggetto di tanta attenzione quanto Samer Issawi che è stato rilasciato pochi giorni orsono dopo aver concluso uno straordinario accordo con le autorità carcerarie nell’aprile 2013. Samer Issawi aveva concordato di metter fine al suo sciopero della fame, che durava da ben 266 giorni, sciopero che a volte è stato completo e a volte parziale, in cambio della promessa israeliana di rilasciarlo nel giro di otto mesi alla fine del 2013. Bisogna notare che Issawi aveva rifiutato offerte di rilascio fatte dalle autorità israeliane in precedenza contro un suo accordo a una deportazione di dieci anni o a Gaza o in un altro paese straniero. Issawi aveva rifiutato questa soluzione che altro non era se non una forma di rilascio punitivo, e che Israele aveva già imposto ad altri prigionieri, tra cui Hana Shalabi, che avevano fatto ricorso allo sciopero della fame. “Non accetto di essere deportato fuori della mia terra natale” avrebbe detto Issawi.
Sullo sfondo c’è anche l’apparente tentativo israeliano di evitare che i prigionieri palestinesi che praticano lo sciopero della fame muoiano. Questo perché gli israeliani ben si ricordano quale forte impatto ebbe la morte diBobby Sands sull’opinione pubblica in Irlanda del Nord nel 1981, o per reiterare un aspetto dell’immagine di marca israeliana, anche chiamata ‘umanitarismo di sussistenza’, che è stato applicato esplicitamente principalmente a Gaza negli ultimi dieci anni. Si tratta di una serie di norme di austerità che mirano a rendere estremamente difficile la vita dei palestinesi, senza peraltro causare un’epidemia o dei decessi. Queste norme di austerità vengono rafforzate periodicamente da ciò che alcuni israeliani ‘falciare il prato’. Si tratta di incursioni militari che hanno l’obiettivo di mantenere le condizioni medie collettive di vita degli abitanti nella Striscia di Gaza al disotto del livello minimo di sussistenza. Una crudeltà così articolata, dichiarata essere la logica di una politica di occupazione, è destinata a seminare odio e risentimento oltre a generare sentimenti di vendetta persino tra i palestinesi più moderati. Ho riscontrato una tale reazione alle pratiche e politiche israeliane anche tra i più mansueti abitanti di Gaza che ho conosciuto in anni recenti.
Tuttavia il caso di Issawi spicca come isolato dagli altri per numerose ragioni, a parte la durata eccezionale del suo sciopero della fame. Le sue motivazioni dichiarate sono una reazione comprensibile al fatto di essere stato arrestato nuovamente il 7 luglio 2012 dopo che era stato rilasciato l’anno prima insieme nell’ambito di un accordo in cui ad altri 1027 prigionieri palestinesi venne data la libertà in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato dai palestinesi nel lontano 2006. Issawi era stato arrestato nuovamente al posto di controllo di Juba con l’accusa di aver violato i termini del suo rilascio che restringevano la sua presenza a Gerusalemme, suo luogo di residenza. Issawi si trovava in effetti ancora all’interno dei confini municipali della città di Gerusalemme, ma in un’area ritenuta dalle Autorità di occupazione come West Bank. Issawi inoltre, sosteneva di essere lì perché stava cercando un’officina per riparare la sua auto. A causa di questa possibile violazione tecnica dell’accordo che aveva portato al suo rilascio, Issawi venne condannato a otto mesi di reclusione. In aggiunta a questa condanna, un comitato speciale istituito dall’ Ordinanza Militare No. 1651, Articolo 186, e basandosi su di un dossier segreto, decretò che chi venisse arrestato una seconda volta, avrebbe dovuto finire di scontare la pena per cui era stato arrestato la prima volta. Questo nel caso di Issawi significava una pena di 20 anni di reclusione. Non vi era diritto da parte di Issawi di impugnare questa decisione così oltraggiosa. Inoltre venne negato all’avvocato di Issawi l’accesso al dossier contente l’informazione apparentemente incriminante. Questo era il contesto che portò Issawi a non accettare la revoca del suo rilascio dalle prigioni Israeliane. Issawi allora dichiarò che avrebbe iniziato uno sciopero della fame, essendo questo l’unica arma a sua disposizione per contestare un tale trattamento, sottintendo così che sarebbe morto in prigione se non lo avessero liberato.
La storia della famiglia Issawi è emblematica di ciò che ha significato per la maggioranza dei Palestinesi vivere sotto occupazione militare per varie decine di anni. Un fratello di Samer, Fadi, fu ucciso dalle forze di sicurezza Israeliane nel 1994. Un secondo fratello, Medhat, ha passato gli ultimi 19 anni in prigione, mentre una sorella, Shireen, fu detenuta nel 2010. La famiglia vive in un sobborgo di Gerusalemme, Issawiyeh, che in un passato non troppo lontano è stato teatro di proteste specialmente contro la confisca di terreni per la creazione di un così detto ‘parco nazionale’ e per creare una discarica. In altre parole, il contesto di occupazione militare, annessione, espropriazione delle risorse, e repressione è parte integrante della storia della famiglia Issawi. Rivelatore è il fatto che le autorità israeliane abbiano proibito qualsiasi festeggiamento per il rilascio di Issawi nel suo villaggio natale di Issawiyeh, ordine che fu peraltro ignorato da una folla resa felice dal suo rilascio e che organizzò una manifestazione spontanea di caldo benvenuto.
Ancora prima del suo nuovo arresto per aver violato i termini del suo rilascio, l’organizzazione non governativa (ONG) palestinese Addameer, che controlla le condizioni e le norme delle prigioni israeliane, aveva indicato che Issawi era sottoposto a costanti maltrattamenti da parte delle autorità israeliane e che veniva interrogato a lungo moltissime volte a settimana, negandogli così la possibilità di svolgere una vita normale. L’incubo quotidiano dei palestinesi che vivono nei territori occupati, è una storia kafkiana di legge senza legge, dove chi è in posizione di comando decide secondo il proprio volere, nascondendosi sotto un velo di segretezza, e imponendo la propria autorità tramite una forza eccessiva e una serie di umiliazioni che impediscono una vita normale. Issawi aveva chiaramente detto che la sua lotta non sarebbe finita con il suo rilascio dalle prigioni israeliane affermando: “è nostro dovere di combattenti per la libertà di liberare tutti i prigionieri politici palestinesi”. Issawi aveva inoltre indicato come esistesse un legame tra il suo tipo di resistenza da parte dei palestinesi e il più ampio movimento di solidarietà internazionale per i palestinesi: “Traggo la mia forza da tutte le persone libere che nel mondo vogliono una fine dell’occupazione israeliana”. Ovviamente, esiste un mutuo scambio, laddove chi sostiene la lotta di liberazione palestinese dal di fuori viene ispirato dal coraggio e dalla capacità di resistenza di individui come Samer Issawi e ha il dovere di conoscere e far conoscere queste storie di resistenza palestinese non violenta.
La vicenda di Issawi rappresenta molto di più della lotta di un individuo o della triste saga di una famiglia palestinese molto attiva nella resistenza o di un villaggio che si confronta con le realtà giornaliere di un’occupazione che è anche lo scenario di una confisca di risorse e di condizioni di vita oppressive. La storia di Issawi rappresenta una specie di sommario metaforico da un lato di tutta la realtà palestinese, caratterizzata da una vulnerabilità diffusa, oppressione violenta, e da una continua violazione dell’integrità dell’habitat palestinese, e dall’altro lato caratterizzato dalle dinamiche di resistenza, lotta, e speranza di un futuro migliore e dignitoso.
Si tratta di una realtà su cui noi tutti dobbiamo riflettere in questo inizio di anno, e nel contempo augurare al popolo palestinese condizioni migliori per il 2014 – e così facendo impegnarsi attivamente affinché lo diventi.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Richardfalk.com
traduzione di Ezio Gianni Murzi
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
Samer Issawi, sciopero della fame e lotta di liberazione palestinese
http://znetitaly.altervista.org/art/13727
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