Sconfiggere la paura

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“Il popolo c’è, quindi ognuno di noi può gridarlo,
o dirlo a voce bassa, però con convinzione, perché popolo sono loro,
sono quelli, sono questi, siamo noi, è lui, è lei, sei tu, sono io.
Se il popolo c’è io c’ero.
Soli, contiamo poco, uniti valiamo mille.
Anzi, non mille ma mille volte più
uniti, il calore del sole è il nostro calore.
Uno per uno, sciatti e sospettosi, contiamo e valiamo come quella foglia rinsecchita attaccata a un ramo, che il primo soffio di vento farà cadere nella polvere.
Il popolo può ergersi come una montagna e come una montagna coprirsi di neve, vale a dirsi di onesto furore, che soffia via la paura.
Il popolo soffre e muore
ma è subito in piedi”
(Roberto Roversi)

25 febbraio 2013
mentre a Milano i seggi sono ancora aperti e pur nella consapevolezza di un delicatissimo momento, gli italiani vanno a votare per esprimere la loro scelta, qui ad Hebron, Suhada Street è ancora chiusa, sigillata e non sembra rimasta la pur minima speranza.

Il popolo italiano potrebbe decidere di archiviare per sempre un ventennio che ha ridotto in macerie il Paese, ma la rabbia per un sistema basato sulla corruzione, la paura del cambiamento e mille altri motivi, ci fanno sprofondare in un vuoto angosciante.
Nelle stesso ore, partecipiamo, qui nella Palestina sotto occupazione, alla potente resistenza di una città che non si rassegna all’umiliazione quotidiana di un soffocamento collettivo e scende in strada per resistere con tutte le forze della nonviolenza nello sconfiggere la paura.

Lì dove ci sembrava che una democrazia come la nostra potesse garantire la costruzione di una convivenza civile basata sul grande progetto della Costituzione, si è aperta una voragine che, pur a distanza di chilometri, occupa il pensiero e il confronto comunitario del gruppo dei Pellegrini di Giustizia che vivono in queste ore immersi nella straordinarietà di un altro popolo, quello palestinese, che stupisce ogni giorno di più per le incredibili risorse di lotta e riscatto per le quali certamente non soccombe ai morsi violenti di un’aggressione militare indescrivibile.

E’ “un popolo che si erge come una montagna” quello che affida la sua protesta più alta ai suoi figli seppelliti nelle carceri israeliane, attraverso l’ennesimo sciopero della fame.

E’ “un popolo che soffre, muore, ma è subito in piedi”, quello che rifiuta con tutto sé stesso le provocazioni di un occupante che fa di tutto perchè, giunto allo stremo, almeno un palestinese ceda con un gesto di violenza al costante annichilimento di cui è vittima.

Il popolo palestinese subisce lo smacco di assistere a migliaia di risoluzioni/rapporti/decisioni internazionali che a parole condannano inequivocabilmente l’occupazione -come in questi giorni ha fatto l’Unione Europea invocando contro Israele perfino sanzioni economiche- senza vedere mai concretizzata nei fatti una sola di queste prese di posizione. Ma, invece di stremarlo, queste mazzate sembrano spingerlo ad individuare sempre nuove sfide di lotta (come leggerete dai taccuini di viaggio dei Pellegrini di giustizia in A voce alta).

Per questo il nostro Editoriale è stavolta dedicato all’Italia e a chi può salvarla da questo momento tanto oscuro.
Vogliamo dirlo da qui, dopo aver goduto di una celebrazione forte e indimenticabile di Un Ponte per Betlemme, anniversario dell’arrivo del muro: come italiani dovremmo davvero imparare moltissimo dai palestinesi.

Cominciamo a crederci nella misura in cui “soli, contiamo poco, uniti valiamo mille” e soprattutto sapendo, con le parole di Roversi, che “il popolo c’è, quindi ognuno di noi può gridarlo, che se il popolo c’è io c’ero”.

BoccheScucite

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