Segnali dalla palude di Moni Ovadia

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La stagnazione della situazione israelo-palestinese che ha fatto di quello scacchiere geopolitico una vera palude, refrattaria ad ogni seria azione di prosciugamento, comincia a dare segnali di fibrillazione. Sullo scenario di un retorico tira e molla di finte trattative ha fatto la sua comparsa la prima vera proposta di pace su iniziativa interamente israeliana. Il proponente è il figlio del generale Itzkhak Rabin, il premier israeliano assassinato per avere voluto la pace sulla base degli accordi di Oslo. Il figlio di Rabin è sostenuto da importanti esponenti dell’imprenditoria privata e ha basato il suo piano di pace sull’iniziativa del re Abdallah di Arabia Saudita del 2002. Una proposta seria e realistica totalmente snobbata dai governi israeliani. Questa proposta del giovane Rabin, quella di Abdallah, così come quella di Ginevra del 2004, una vera e propria pace costruita da importanti esponenti delle opposizioni israeliana e palestinese, fra cui Yasser Abder Rabbo e Shlomo Ben Amì, mostrano che coloro che sui due fronti del conflitto davvero aspirano alla pace, si incontrano. Una novità arriva anche da Hamas. Suoi esponenti autorevoli hanno dichiarato che qualora una proposta di pace definitiva fra israeliani e palestinesi fosse confermata da un referendum popolare, Hamas sarebbe disposta ad accettarla e sottoscriverla. Per la prima volta dal naufragio di Oslo si sente un linguaggio diverso da quello dei disastrosi “piccoli passi” di chi non vuole pagare i prezzi richiesti da un vero accordo. Ma la vera domanda
è: finché in Israele c’è al governo una coalizione sostenuta da razzisti e da fanatici religiosi colonialisti, finché la democrazia israeliana non ha una vera opposizione parlamentare, è pensabile dare realtà a queste nobili intenzioni?

(L’Unità, 4 dicembre)

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