SIRIA. Confusione a Washington, il fronte pro-Assad serra i ranghi

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10 apr 2017

Gli alleati di Damasco promettono una reazione. Alla Casa Bianca l’entourage di Trump manda messaggi contraddittori: l’ambasciatrice all’Onu Haley punta sulla rimozione del presidente siriano, il segretario di Stato Tillerson sull’Isis

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AGGIORNAMENTO ore 9 

Ieri, a due giorni dall’attacco statunitense contro la base dell’aviazione siriana di Shayrat, i paesi alleati del governo di Damasco hanno emesso un comunicato congiunto: “L’aggressione contro la Siria supera tutte le linee rosse – si legge nella nota di Russia, Iran e Hezbollah – Reagiremo fermamente ad ogni aggressione contro la Siria e ad ogni violazione delle linee rosse, chiunque le compia. Gli Stati Uniti conoscono molto bene la nostra capacità di reazione”.

Nel comunicato Mosca, Teheran e il movimento sciita libanese accusano Washington di aver agito unilateralmente prima che un’inchiesta chiarisse quanto accaduto una settimana fa a Khan Sheikun e senza attendere l’approvazione delle Nazioni Unite. E minacciano la Casa Bianca: aumenteremo, dicono, il nostro sostegno militare a Damasco.

Da New York risponde Nikki Haley, ambasciatrice Usa all’Onu, e volto dell’aggressione statunitense: è a lei che Trump ha affidato la prima minaccia di attacco alla Siria. Alla Cnn, ieri, Haley ha paventato l’assenza di una soluzione pacifica fino a quando Assad resterà presidente. Un capovolgimento totale rispetto alle posizioni espresse due settimane fa, di apertura all’attuale presidente siriano: “Non c’è alcuna possibilità che una soluzione politica si realizzi con Assad alla testa del regime. Il cambiamento di regime è qualcosa che pensiamo avverrà”.

Molto più morbido il segretario di Stato Tillerson, figura al momento piuttosto evanescente che ieri insisteva nell’indicare nella lotta all’Isis la priorità degli Usa: “È importante mantenere le nostre priorità – ha detto – Una volta che la minaccia dell’Isis sarà ridotta o eliminata, penso che potremo volgere l’attenzione alla stabilizzazione della situazione siriana”.

Una differenza di visioni, almeno nell’immediato, che svela le fratture interne all’amministrazione Usa in politica estera e la volatilità delle reazioni del presidente Trump. Soprattutto a seguito di un attacco, quello di Khan Sheikun, su cui nessuno aveva ancora indagato. Una politica da vendicatore solitario che annulla il ruolo della comunità internazionale. A poco, dunque, serve un Tillerson pompiere che – in vista della visita di domani a Mosca – insiste nel dire che “i russi non erano target di questo particolare raid”.

Chi esce rinvigorito dall’intervento di Trump, ma solo in apparenza, è il presidente turco Erdogan che dopo mesi di melina torna verso Washington. Ankara ha presto abbandonato la posizione – chiaramente poco sincera – che l’ha condotta a riavvicinarsi alla Russia dopo un anno di gelo, ovvero l’accettazione della permanenza di Assad al potere almeno nel primo periodo di transizione.

Ma Erdogan cerca di mantenersi neutrale, nonostante le dichiarazioni pesanti a sostegno del raid espresse nei giorni scosi: ieri il suo ministro degli Esteri Cavusoglu ha tentato un difficile equilibrio, contradditorio: “Abbiamo accolto con favore il raid Usa contro il regime di Bashar al Assad, ma allo stesso tempo siamo interessati a proseguire i negoziati per arrivare ad un cessate il fuoco nell’ambito di quanto pattuito nei colloqui di Astana. Non c’è nessuna contraddizione”. E invece c’è, visto il sostegno che Mosca e Teheran, sponsor insieme ai turchi di Astana, garantiscono al presidente siriano e visto che naturale partner di quel cessate il fuoco è proprio Assad.

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di Michele Giorgio – Il Manifesto

Roma, 10 aprile 2017, Nena News – Donald Trump e il re saudita Salman hanno affabilmente parlato sabato al telefono dell’attacco ordinato nella notte tra giovedì e venerdì dal presidente americano contro la base aerea siriana di Shayrat. Salman ha ribadito tutto il suo apprezzamento per quella che ha, di nuovo, descritto come una «decisione coraggiosa che serve gli interessi regionali e del mondo».

Dopo le tensioni degli anni di Barack Obama alla Casa Bianca, le relazioni tra Washington e Riyadh sono di nuovo «back on track», sul binario giusto, grazie ai 59 missili Tomahawk lanciati contro la base siriana. Sabato mentre il “Custode di Mecca e Medina” e il tycoon discorrevano dei passi successivi da muovere in Siria, i cacciabombardieri sauditi colpivano Saada e altre località in Yemen, facendo almeno cinque vittime civili.

Amnesty International tra il disinteresse dei governi occidentali, continua la sua campagna per fermare la vendita delle armi, anche italiane, usate dall’Arabia saudita in Yemen dove la guerra civile ha già fatto più di 12mila tra morti e feriti tra i civili, molti dei quali uccisi dai bombardamenti sauditi.

Ma le bombe della monarchia Saud sono considerate solo dei confetti dai tanti esponenti del centrosinistra e della destra in Italia, dal PD ai Forzisti, che in queste ore si affannano a legittimare i Tomahawk sparati da Trump e a condannare i “crimini di guerra” di Bashar Assad, senza aver avuto prove da fonti realmente indipendenti del presunto uso di armi chimiche che sarebbe stato fatto dall’aviazione governativa siriana nella provincia di Idlib con decine di civili uccisi, tra i quali anche bambini.

Costoro non hanno aperto bocca quando gli Usa con i loro bombardamenti aerei aveva provocato, appena qualche giorno prima, la morte di quasi 200 civili iracheni a Mosul e ora restano in silenzio di fronte ai 15-20 siriani, tra i quali quattro bambini, uccisi, stando alle prime informazioni, da un raid americano sul villaggio di Hanida a 30 km da Raqqa.

Trump ha mostrato i muscoli e, attraverso l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, in questi mesi il vero segretario di Stato Usa rispetto all’impalpabile Rex Tillerson, fa sapere è pronto ad usare di nuovo la forza militare contro Damasco. Deve fare i conti tuttavia con le conseguenze delle sue azioni, che ora spingono Mosca a rafforzare i legami con Iran, Siria e altri partner mediorientali.

«Penso che ciò che è accaduto inciderà negativamente sui negoziati [tra governo siriano e opposizione, ndr] di Astana e Ginevra, la cooperazione è a rischio. Speriamo si possa arrivare alle discussioni pratiche sulle opzioni suggerite dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura nel corso del prossimo turno dei negoziati», avvertiva ieri il vice ministro degli Esteri russo Gennady Gatilov in un’intervista a Interfax.

Sabato i capi di stato maggiore di Russia e Iran hanno discusso degli attacchi americani e deciso di continuare la lotta congiunta contro i terrorismo jihadista e qaedista. Soprattutto è sceso in campo lo stesso il presidente moderato Hassan Rohani che Trump, con le sue minacce di annullare o di rivedere in profondità l’accordo internazionale sul nucleare iraniano, sta indebolendo a vantaggio dello schieramento interno più radicale, a poche settimane dalle presidenziali.

Rohani ora deve alzare la voce per non perdere consensi di fronte a una opinione pubblica iraniana sempre più scettica rispetto ai benefici economici che aveva lasciato intravedere la firma dell’accordo sul nucleare. Perciò ha chiesto con forza una commissione d’inchiesta internazionale «per chiarire cosa c’è dietro il recente attacco degli Stati Uniti contro la Siria e la verità sull’uso e la provenienza delle armi chimiche usate come pretesto». Rohani ha aggiunto che «il ragazzo (Trump) che ora governa gli Stati Uniti ha sostenuto nella sua campagna elettorale che aveva in mente di combattere i terroristi ma ora i terroristi stanno celebrando l’attacco degli Stati Uniti all’esercito siriano».

Il presidente iraniano ha infine avvertito che «non è chiaro quello che i nuovi funzionari degli Stati Uniti hanno in mente per la regione mediorientale e per il mondo, abbiamo bisogno di essere più vigili e uniti rispetto al passato. Dovremo essere pronti per tutte le possibilità». Rohani sa che una nuova guerra nella regione, dopo gli attacchi americani alla Siria, si è fatta più probabile e fa sapere a Washington che l’Iran è pronto.

Michele Giorgio è su Twitter: @michelegiorgio2

 

SIRIA. Confusione a Washington, il fronte pro-Assad serra i ranghi

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