di Giuseppe Bonavolontà
In Siria il tempo della passione è iniziato dodici mesi fa. Così il Nunzio apostolico a Damasco Mons. Zenari ha iniziato alla Radio Vaticana il racconto del tempo della Passione che sta vivendo il popolo siriano. La violenza non guarda in faccia nessuno, colpisce e basta. Mons. Zenari ha parlato di bambini, perfino uno di dieci mesi, uccisi con le loro famiglie, di gente affamata e disperata, soprattutto a Homs dove viene impedito agli operatori umanitari di portare aiuto e in alcuni quartieri si sopravvive nelle cantine, i cadaveri dei morti restano nelle strade e c’è difficoltà a soccorrere i feriti.A un anno di distanza dall’inizio delle proteste e della conseguente repressione in Siria, a differenza di altri paesi mediorientali e nordafricani, non si respira l’aria delle cosiddette “primavere arabe” e il lungo inverno ha un solo colore, quello del sangue. Novemila morti accertati, con tanto di liste pubblicate su internet attraverso il quale gli oppositori al regime diffondono le immagini dei massacri quotidiani. La collocazione geopolitica della Siria, insieme alle incognite di un dopo Assad mostra una comunità internazionale divisa e quindi sostanzialmente impotente. Da una parte Stati Uniti, Europa e paesi della Lega Araba che varano e inaspriscono sanzioni economiche sostanzialmente inefficaci e chiedono mozioni di condanna da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sono mesi che il presidente Obama, ma anche i leader dell’Unione Europea, ripete che il tempo di Assad è scaduto e che prima o poi sarà costretto a lasciare il potere. Ma intanto non succede niente. Perfino il piano predisposto dalla Lega Araba, che prevedeva una uscita di scena indolore (in cambio dell’immunità) del rais di Damasco che avrebbe dovuto cedere la poltrona al suo vice Faruk Al Sharaa incaricato di avviare la transizione avviando il dialogo con le opposizioni fino a nuove elezioni presidenziali è naufragato, insieme alla missione degli osservatori dell’organismo panarabo che doveva vigilare sul cessate il fuoco che non c’è stato neppure per un giorno. Perché da un’altra parte il regime siriano trova sostenitori che contano nel mondo: Russia e Cina, che hanno già per ben due volte imposto il loro diritto di veto all’Onu sostenendo che non intendono dare la stura a scenari di guerra sul tipo libico. Putin da Mosca che si autodefinisce sostenitore della democrazia perché insiste sulla via del dialogo tra le parti siriane reso ormai impossibile dalla realtà sempre più cruenta. Va ricordato che la Russia è il principale fornitore di armi della Siria dove, a Tartus, ha anche la sua unica base navale nel Mediterraneo. E che la Cina è un importante partner economico nel campo energetico e non solo di Damasco. Così Bashar Assad ha mano libera: continua a promettere riforme e a ordinare stragi. Le sue Forze armate, che pure perdono qualche colpo perché aumenta il numero delle diserzioni, restano sostanzialmente coese con il potere che resiste a suon di carneficine: città bombardate, dimostrazioni e cortei funebri attaccati con accanimento, senza rispetto per nessuno. Lo ricordava nella sua intervista Mons. Zenari: almeno cinquecento delle vittime di quella che sembra connotarsi sempre di più come una guerra civile sono bambini. Guerra civile? Conflitto confessionale? Scontro tra la maggioranza sunnita e la minoranza alawita al potere da quarantatre anni? Lotta per la conquista di diritti come l’uguaglianza e la libertà di espressione che scarseggiano in questa zona del mondo? La rivolta alla quale partecipa buona parte del popolo siriano è un po’ di tutto, con divisioni che emergono tra i diversi gruppi di oppositori (soprattutto tra quelli all’estero e quelli che agiscono all’interno del paese) e ne limitano progettualità e credibilità. Con l’aggravante che non manca mai chi soffia sul fuoco per i propri fini. Le formazioni della rivolta, soprattutto quelle dei soldati che hanno defezionato, chiedono mezzi e armi per combattere il regime. Il fondamentalismo islamico di matrice salafita si insinua tra le file dei ribelli portando il proprio contributo di combattenti, mezzi per combattere e obiettivi integralisti da raggiungere. La comunità cristiana, come altre minoranze religiose sostanzialmente rispettata dal regime, è impaurita e spaesata perché il futuro senza Assad è una incognita che potrebbe rivelarsi più pesante del passato e perfino del presente. Da questo miscuglio di incertezze, collusioni, divisioni e impotenze il quadro che emerge è che il tempo della Passione dei siriani non è ancora finito. Il giovane Bashar Assar, forse prigioniero del suo clan, è destinato a rimanere al suo posto. Per ora. Perché le cosiddette “primavere arabe”, con tutte le loro incongruenze, contraddizioni, transizioni lunghe e complesse, hanno dimostrato che la realtà può superare l’immagi-nazione. Come ha detto parlando da Beirut il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon “i popoli della regione mediorientale non tollerano più dinastie, presidenti e famiglie al governo per sempre. Il vento del cambiamento continuerà a soffiare”.
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