Israele si trova di fronte ad una grave crisi costituzionale – se tale termine è applicabile ad uno stato senza una costituzione…
La cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente” è minacciata dall’interno.
Nella riunione annuale dei capi delle missioni diplomatiche di Israele nel mondo, un diplomatico di alto grado ha chiesto perché il governo aveva annunciato la costruzione di un insediamento enorme nuovo a Gerusalemme Est, una decisione che è stata denunciata in tutto il mondo. L’intervento è stato applaudito dai diplomatici. Il portavoce di Netanyahu, ha semplicemente risposto invitando seccamente i diplomatici a dimettersi se hanno problemi con la politica del governo.
Poche settimane fa, il comandante generale dell’esercito nella Cisgiordania occupata ha deciso di elevare lo status del collegio universitario nella colonia di Ariel al rango di una università. Diventerebbe l’unica università al mondo che ha ricevuto il suo statuto da parte di un generale dell’esercito.
Non vi è, naturalmente, non il minimo segno di democrazia o di rispetto dei diritti umani nei Territori Occupati ma il Likud minaccia di tagliare i finanziamenti internazionali a tutte le ONG che cercano di monitorare ciò che sta accadendo là.
Ma l’enigma più sconcertante riguarda la minaccia più pericolosa: la questione della pace e della guerra. Infatti oggi è quasi completamente scomparsa dalla campagna elettorale.
Tzipi Livni, per esempio, ha adottato la questione dei negoziati con i palestinesi come una sorta di espediente elettorale – senza emozioni, evitando la parola “pace”, per quanto possibile. Da tutte le altre parti politiche di pace non si parla affatto.
Eppure, tragicamente, nei prossimi quattro anni, l’annessione ufficiale della Cisgiordania a Israele può diventare un dato di fatto. I palestinesi potrebbero essere definitivamente chiusi in piccole gabbie.
La Cisgiordania potrà diventare così piena di sempre nuovi insediamenti da far scoppiare una violenta intifada.
Mentre Israele potrà ritrovarsi isolato dal mondo, mentre anche il supporto cruciale americano potrebbe indebolirsi.
Se il governo continua sull’attuale percorso, si andrà verso un sicuro disastro: tutto il paese tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano diventerà una unità sotto il governo israeliano. Questo Grande Israele avrà però in sè una maggioranza araba e una minoranza ebraica che farà di Israele inevitabilmente in uno stato di apartheid.
Restituire la Cisgiordania e Gerusalemme Est ai palestinesi in cambio della pace? Ma nessun politico è nemmeno sfiorato da questa prospettiva!
Il fatto strano è che questa settimana due sondaggi -indipendenti l’uno dall’altro- sono giunti alla stessa conclusione: la grande maggioranza degli elettori israeliani è favorevole alla “soluzione dei due Stati”, alla creazione di uno Stato palestinese lungo i confini del 1967 e alla spartizione di Gerusalemme.
Come è possibile, vi chiedete voi?
La spiegazione sta nella prossima domanda: Quanti elettori ritengono che questa soluzione sia praticabile? La risposta è chiara: quasi nessuno. Nel corso di decine di anni, è stato abilmente fatto a tutti gli israeliani un lavaggio del cervello che ora li porta tutti a credere con convinzione una cosa sola: che “gli arabi” non vogliono la pace.
E se per caso ne parlassero essi starebbero solo mentendo.
Insomma è relativamente semplice la questione: la pace è impossibile. Perché dovremo pensarci? Perché dovrebbero anche solo parlarne in campagna elettorale?
La cosa più logica è recuperare l’intuizione chiara e inequivocabile di Golda Meir che quarant’anni fa affermava senza esitazione che i palestinesi semplicemente non esistono. “Non esiste una cosa descrivibile come il popolo palestinese. Non è come se in Israele ci fosse stato prima di noi un “popolo palestinese” e poi siamo venuti e li abbiamo gettati fuori dopo aver preso il loro paese. No, perchè essi non esistono.” (Golda Meir, 13 giugno 1969)
Da www.ghushshalom.org
5 gennaio 2013
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