TERRITORI OCCUPATI. Israele taglia il budget dell’Anp

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03 lug 2018

La Knesset ha votato per ridurre la quota che ogni anno gira a Ramallah e che rappresenta le tasse palestinesi raccolte dalle autorità israeliane. Identica decisione da parte di Washington. La motivazione ufficiale: denaro usato per stipendiare i prigionieri. Ma dietro sembra esserci l’ennesima pressione per accettare l’Accordo del secolo

La Knesset israeliana

della redazione

Roma, 3 luglio 2018, Nena News – Alla fine, dopo anni di minacce, il taglio è arrivato: ieri la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato con 87 voti a favore e 15 contrari la legge che riduce la quota che Tel Aviv gira all’Autorità Nazionale Palestinese e che rappresenta le tasse palestinesi raccolte da Israele – come previsto dal Protocollo di Parigi del 1995, altro caso di controllo israeliano dell’economia palestinese.

Denaro palestinese, dunque, che va nelle casse israeliane e che poi le autorità di Tel Aviv riconsegnano all’Anp. Il taglio è stato giustificato con lo sipendio che Ramallah garantisce ai prigionieri politici e ai loro familiari degli uccisi dall’esercito israeliano, circa 35mila nuclei familiari. Per lo Stato ebraico salario a dei terroristi.

Il voto segue a un’identica iniziativa presa dal Congresso Usa che nei giorni scorsi ha ridotto i 300 milioni di dollari in aiuti che ogni anno gira all’Anp. Identica motivazione, sulla base del Taylor Force Act, legge che prende il nome dal soldato Americano ucciso nel 2016 da un palestinese. Non solo: ieri anche l’Australia ha emesso una legge simile.

Il ministro della Difesa israeliano, il falco Avigdor Lieberman, festeggia su Twitter: “Avevamo promesso di cancellare lo stipendio per i terroristi e abbiamo mantenuto la promessa. È finita. Ogni shekel che Abu Mazen pagherà ai terroristi e agli assassini sarà immediatamente dedotto dal budget dell’Anp”. A votare contro alla Knesset sono stati i parlamentari palestinesi della Lista Araba Unita che definiscono la legge un furto e una punizione collettiva.

Immediata è giunta anche la reazione dell’Anp con il portavoce del governo di Ramallah, Yousef al-Mahmoud, che ha condannato la decisione: “Quel denaro appartiene al popolo palestinese e questa legge deruba i prigionieri e i martiri simbolo della libertà”. Stesse parole dalla leader palestinese dell’Olp Hanan Ashrawi: “Questo non è altro che un furto, un atto di pirateria, rubano i fondi palestinesi: decidono loro come dobbiamo usarli, se fossimo liberi non sarebbe Israele a raccogliere le tasse per noi”.

Del budget annuale dell’Anp, cinque miliardi l’anno, il 7% – 360 milioni di dollari – è destinato agli stipendi totali. Secondo il Ministero della Difesa israeliano, l’Autorità Palestinese paga ogni anno circa 198 milioni di dollari in stipendi alle famiglie degli uccisi e 160 al Palestinian Prisoners’ Club, che si occupa della tutela dei detenuti politici in Israele.

La motivazione, dunque, è “finanziamento di terroristi” secondo Washington e Tel Aviv. Ma è difficile non cogliere la tempistica delle due leggi. Da anni Israele e Stati Uniti utilizzano il taglio di fondi all’Anp come forma di pressione politica o punizione nel caso di misure assunte dai palestinesi e prese in particolari periodi storici. Questa, in particolare, giunge mentre l’amministrazione Trump si prepara a presentare al mondo il cosiddetto “Accordo del secolo”, un accordo di pace tra Israele e mondo arabo da imporre alla leadership palestinese e che non prevede l’autodeterminazione del popolo palestinese: capitale di uno Stato di Palestina ad Abu Dis, e non a Gerusalemme; nessuna autorità sulla Valle del Giordano; mancato controllo dei confini e dello spazio aereo.

Alla proposta il governo palestinese ha risposto negando incontri agli inviati di Trump e ieri Fatah ha organizzato la prima di una serie di proteste a Ramallah. I palestinesi lo definiscono “lo schiaffo del secolo” e non intendono accettare. Ma alle pressioni americane e israeliane si aggiungono quelle dei paesi arabi, di Egitto, Giordania e Golfo, che hanno già dato la loro disponibilità ad accettare, a normalizzare i rapporti con Tel Aviv con buona pace delle aspirazioni palestinesi. Nena News

 

 

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