Anche noi che “per prudenza diplomatica” siamo stati invitati caldamente ad “abbassare i toni”… “evitare le polemiche”… perfino quando a Roma, in un evento collaterale al Sinodo, stavamo per presentare un testo, Kairos Palestina, che doveva far vergognare chiunque si ostinasse ancora – per il bene di chi?- a smorzare i toni della denuncia in nome di tremebondi equilibrismi, adesso possiamo, anzi, dobbiamo parlare.
E’ giusto che si sappia innanzitutto che c’erano state delle pressioni per cercare di imporre alla conferenza ecclesiale promossa da Pax Christi la presenza di un rappresentante dello stato d’Israele. Ennesimo tentativo di fermare la diffusione di quello “scandaloso documento teologico, Kairos Palestina, che legittima il terrorismo e attesta che la resistenza al male dell’occupazione è un diritto e un dovere del cristiano” (Giulio Meotti, Il Foglio, 27 ottobre). Ma la vera notizia è un’altra!
Finalmente, dopo decenni di silenzio colpevole della Chiesa (“questo è il tempo del pentimento per il nostro silenzio, l’indifferenza, la mancanza di comunione” Kairos Palestina 5.2), è venuta una chiarissima parola definitiva sulla Palestina. Per decenni, politici di ogni provenienza, media, Vescovi, hanno fatto tutto il possibile per evitare anche solo l’uso della parola “occupazione”.
Ma ora -lo ripetiamo, finalmente!- la condanna è stata espressa inequivocabilmente.
Basta con quella insopportabile falsità che cerca di raccontare al mondo una realtà di apartheid definita “instabilità politica”.
Basta con l’ipocrisia ammantata di diplomazia, di falso rispetto dei diritti di tutti che in realtà maschera appiattimento e acquiescenza sulle posizioni del più forte, dell’oppressore.
Il Messaggio finale del Sinodo dei vescovi per il medio Oriente, che nelle sue dichiarazioni più forti e accorate molto riprende delle affermazioni contenute nel documento, è davvero chiaro, coraggioso, frutto di una lettura della situazione in Terra Santa che parte dai dati di fatto, dal vissuto della gente, dalle restrizioni e dalle crudezze vive, semplici, nella loro arrogante brutalità. Sembra davvero che anche i padri sinodali, come i capi delle Chiese di Terra santa che hanno firmato il documento Kairos facendo loro l’appello indirizzato ai fedeli di Terra santa, abbiano “udito il grido di dolore dei loro figli”, rispondendo con un grido di liberazione altrettanto potente e profetico. (Facciamo copia/incolla, inoltriamolo ai nostri contatti, stampiamo, diffondiamo, non dimentichiamoci di questo pronunciamento ufficiale che attendavamo da tanto tempo!):
“Abbiamo analizzato quanto concerne la situazione sociale e la sicurezza nei nostri paesi del Medio Oriente. Abbiamo avuto coscienza dell’impatto del conflitto israelo-palestinese su tutta la regione, soprattutto sul popolo palestinese che soffre le conseguenze dell’occupazione israeliana: la mancanza di libertà di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati. Abbiamo riflettuto sulla sofferenza e l’insicurezza nelle quali vivono gli Israeliani. Abbiamo meditato sulla situazione di Gerusalemme, la Città Santa. Siamo preoccupati delle iniziative unilaterali che rischiano di mutare la sua demografia e il suo statuto. Di fronte a tutto questo, vediamo che una pace giusta e definitiva è l’unico mezzo di salvezza per tutti, per il bene della regione e dei suoi popoli.
È tempo di impegnarci insieme per una pace sincera, giusta e definitiva. Tutti noi siamo interpellati dalla Parola di Dio. Essa ci invita ad ascoltare la voce di Dio «che parla di pace»: «ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore» (Sal 85, 9). Non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie. Al contrario, il ricorso alla religione deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro e a trattarlo secondo gli attributi di Dio e i suoi comandamenti, vale a dire secondo la bontà di Dio, la sua giustizia, la sua misericordia e il suo amore per noi.
Diciamo ai nostri concittadini musulmani: siamo fratelli e Dio ci vuole insieme, uniti nella fede in Dio e nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Insieme noi costruiremo le nostre società civili sulla cittadinanza, sulla libertà religiosa e sulla libertà di coscienza. Insieme noi lavoreremo per promuovere la giustizia, la pace, i diritti dell’uomo, i valori della vita e della famiglia. La nostra responsabilità è comune nella costruzione delle nostre patrie. Noi vogliamo offrire all’Oriente e all’Occidente un modello di convivenza tra le differenti religioni e di collaborazione positiva tra diverse civiltà, per il bene delle nostre patrie e quello di tutta l’umanità.
I cittadini dei paesi del Medio Oriente interpellano la comunità internazionale, in particolare l’ONU, perché essa lavori sinceramente ad una soluzione di pace giusta e definitiva nella regione, e questo attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e attraverso l’adozione delle misure giuridiche necessarie per mettere fine all’Occupazione dei differenti territori arabi.
Il popolo palestinese potrà così avere una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità. Lo Stato d’Israele potrà godere della pace e della sicurezza all’interno delle frontiere internazionalmente riconosciute. La Città Santa di Gerusalemme potrà trovare lo statuto giusto che rispetterà il suo carattere particolare, la sua santità, il suo patrimonio religioso per ciascuna delle tre religioni ebraica, cristiana e musulmana. Noi speriamo che la soluzione dei due Stati diventi realtà e non resti un semplice sogno.
Noi condanniamo la violenza e il terrorismo, di qualunque origine, e qualsiasi estremismo religioso. Condanniamo ogni forma di razzismo, l’antisemitismo, l’anticristianesimo e l’islamofobia e chiamiamo le religioni ad assumere le loro responsabilità nella promozione del dialogo delle culture e delle civiltà nella nostra regione e nel mondo intero.”
Per questo, quasi come uno sfogo atteso e sempre represso, tutti i media italiani domenica 24 ottobre sono usciti con titoli mai visti: Il messaggio del Sinodo: “L’Onu metta fine all’occupazione israeliana”; “Il Sinodo chiede all’Onu di applicare le risoluzioni sul ritiro dalle terre palestinesi invase nel 1967” (La Stampa). “Il Sinodo chiede all’Onu l’impegno per porre fine all’occupazione israeliana” (Corriere della Sera). “Messaggio agli ebrei: non usate la Bibbia per giustificare le ingiustizie” (ASCA).
Per la prima volta abbiamo letto articoli di giornalisti che, incoraggiati dalla parresia dei Vescovi, si sono finalmente azzardati a dire la verità su Israele.
Immancabili, purtroppo, le reazioni di Israele, che ha ufficialmente attaccato i Vescovi con una violenza forse inedita:
“Il Sinodo è stato preso in ostaggio da una maggioranza antisraeliana”. Si tratta solo di ”attacchi politici nel segno della migliore tradizione della propaganda araba”. (vice ministro degli Esteri Danny Ayalon). ”I governi israeliani non si sono mai serviti della Bibbia per giustificare l’occupazione o il controllo di alcun territorio, inclusa Gerusalemme est. E’ una retorica ingiusta e pregiudiziale da parte di alcuni vescovi arabi” (portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor).
“Chi fra i palestinesi o nel mondo si attende che il presente governo riconosca alcuna richiesta di sovranità altrui eccetto quella israeliana, si sbaglia e inganna: Gerusalemme non sarà più divisa!”(Moshe Kahlon, ministro israeliano per le comunicazioni).
Incredibile poi la reazione della diplomazia israeliana che tra imbarazzo, arroganza e assoluta certezza di superiorità rispetto agli “arabi”, ha annunciato: “Questo messaggio è un documento scritto da vescovi che sono al 90% di provenienza etnica araba ed è diretto essenzialmente ai loro fedeli che sono ugualmente al 90% circa di provenienza etnica araba. Quindi ha un carattere probabilmente di risposta alle loro frustrazioni. In merito all’appello alla comunità internazionale affinché ponga fine all’occupazione israeliana non vedo nulla che crei alcuna ragione per essere preoccupati: questo è ciò che ci aspettavamo dal sinodo in Vaticano”. (l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, La Stampa)
Molti media italiani, incapaci di cogliere la proposta di ricerca di una vera pace senza infingimenti e sudditanze, hanno dato voce alle reazioni di ebrei che, a dispetto del lavoro dei tanti israeliani e di quegli ebrei italiani ed europei che ben sanno che la parola pace si coniuga solo con ‘giustizia’, hanno usato schemi interpretativi fuorvianti e parole di chiusura, di timore:
“Il mondo ebraico deve fare molta attenzione a quel che è accaduto nel sinodo: è riemerso un linguaggio violentemente antiebraico. Si è parlato dell’insediamento ebraico in Eretz Israel come di un “corpo estraneo” “non assimilabile” che “corrode”, un'”ingiustizia”, cioè un “peccato”. Si è usata una terminologia che non può non evocare a orecchie sensibili l’antisemitismo nazista” (Ugo Volli, Informazione corretta)
“E molto grave la scelta terribilmente teologica fatta dal Sinodo: riprendono la teologia preconcíliare della “sostituzione dell’Alleanza” per negare agli ebrei Il diritto alla terra di Israele, e sposano la tesi palestinese. Le Chiese cristiane dell’area non hanno mai tentato alcun ripensamento teologico, cosa che invece i Vaticano ha fatto abbastanza. E non dicono che i cristiani vengono perseguitati dai musulmani che li stanno annientando, non si rendono conto che íl vecchio gioco dell’alleanza antiebraica non funziona e l’unico paese in cui la presenza cristiana cresce è Israele”. (rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni)
“Anche in Israele c’è un dibattito sul carattere ebraico e democratico dello Stato, però con queste prese di posizione del Sinodo il dibattito finirà soffocato. Complimenti per avere contribuito alla pace. Mi preoccupa l’idea che questo conflitto parta dal teologico e arrivi al politico. Oggi prendo atto che la Chiesa assume un compito politico internazionale non strettamente compreso nei suoi compiti. Posso capire che buona parte dei fedeli siano arabi, ma qui c’è una scelta unilaterale. E potrebbe avere conseguenze. (Amos Luzzatto)
Anche il quotidiano Avvenire, invece di amplificare e dare forza ad una fortissima e per la prima volta inequivocabilmente chiara denuncia ufficiale, si ostina a tenere la usuale linea che attutisce, addolcisce, evita di criticare Israele. Il quotidiano della Cei si permette di criticare le posizioni del Sinodo azzardando l’ipotesi che siano esse stesse, in quanto troppo politicamente esplicite “alla base dei continui fallimenti della diplomazia in Medio Oriente”. Così, quella parresia che si leva nell’aula sinodale, per Avvenire è “la pretesa di risolvere l’intricata questione in un’ottica esclusivamente politica” e, tentando di sminuire una posizione ufficiale dei Vescovi, paventa il rischio di “una interpretazione di parte, tanto malevola quanto interessata”.
Insomma, vi siete sbagliati. Non è vero che il Sinodo ha condannato l’occupazione, invocato l’intervento dell’Onu per ripristinare i confini del 67 ecc. ecc. Si tratta -secondo Avvenire- dei soliti cattocomunisti, sinistrorsi, contestatori, con l’ossessione degli oppressi e delle ingiustizie. Così conclude Luigi Geninazzi: “Qualcuno sarà tentato di leggere tutto questo come un nuovo e clamoroso manifesto politico, una sorta di ‘teologia della liberazione’”. (Avvenire, 24 ottobre)
Mentre i soliti noti si guadagnano le prime pagine difendendo ad oltranza gli equilibrismi più insostenibili, noi non ci stancheremo di scucire la bocca ai coraggiosi testimoni del Vangelo e della verità, come l’instancabile Patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah che ci ha fatto dono di un’intervista in esclusiva (A VOCE ALTA).
E insieme a lui, e per fortuna a tantissimi altri, continueremo a non tacere, a cercare il dialogo sempre, ma in piedi, cercando di far nostre di fino in fondo e di rendere vive ancora le parole di un grande, limpido profeta dei nostri giorni, don Tonino Bello:
“Occorre scongiurare questa specie di fatalismo che fa ritenere inutili,
se non addirittura controproducenti, le scelte di campo, le prese di posizione,
le decisioni coraggiose, le testimonianze audaci, i gesti profetici”
Betta Tusset e Nandino Capovilla,
Campagna Ponti e non Muri, Pax Christi Italia
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Sarebbe importante secondo me aprire una pagina su FB, potremmo far circolare meglio le informazioni. Grazie
carissimi “confratelli” (anche se, a mio parere, se voi siete cristiani stiamo messi male…), spero che i palestinesi vi paghino per scrivere queste fesserie….io ho molti amici ebrei, a cui cerco, tento di spiegare che l’antisemitismo è finito da tempo, all’interno della nostra religione. Le vostre parole mi testimoniano l’esatto contrario.
L'”occupazione” è un mero pretesto, tant’è vero che la prima guerra antiebraica la scatenarono i palestinesi nel 1948, perchè non volevano che in Medio Oriente vi fosse uno Stato non islamico.
Ora e sempre io starò con L’UNICO STATO RELIGIOSO IN CUI I CRISTIANI NON SUBISCONO PERSECUZIONI A CAUSA DELLA LORO FEDE: ISRAELE…Chiedete ai vostri amici palestinesi quale sarebbe la conseguenza di uno di loro che, musulmano, volesse convertirsi al cristianesimo……e poi ripensate alle cose che scrivete, ne guadagnerete in credibilità. E’ grazie a voi ed a persone come voi che la maggioranza degli Ebrei tuttora non si fida della Chiesa cattolica e, più in generale, di noi cristiani. Giustamente, aggiungo io.
Evidentemente, la Shoah non è bastata.