TESTIMONIANZE DAL SINAI, TORTURE E VIOLENZE

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“Ci sono attualmente almeno 30-40 persone ancora ostaggio delle organizzazioni di trafficanti di uomini nel deserto del Sinai. Ad un bambino hanno spezzato un braccio…” Il destino dei migranti africani che tentano di entrare in Israele. Dove diventano uomini senza diritti e senza identità.

DI ILARIA DE BONIS

Roma, 21 febbraio 2011, Nena News (foto da pressTV)-“Ci sono attualmente almeno 30-40 persone ancora ostaggio delle organizzazioni di trafficanti di uomini nel deserto del Sinai. Ad un bambino hanno spezzato un braccio, una delle donne sta per partorire…Noi abbiamo un contatto telefonico e controlliamo a distanza la situazione ma è molto complicato intervenire”.

A parlare è Matteo Pegoraro, copresidente della Ong italiana EveryOne, molto attiva sul fronte dei richiedenti asilo africani che attraversando l’Egitto entrano in Israele dopo varie peripezie nel deserto e mesi di prigionia nelle mani di bande organizzate di beduini nel Sinai. L’attuale incertezza politica in Egitto potrebbe addirittura peggiorare la condizione dei migranti, avverte Pegoraro. Dal momento che “l’instabilità delle relazioni diplomatiche tra Egitto ed Israele rende ancora meno efficace l’intervento contro i trafficanti e contrabbandieri del deserto”.

A raccontare poi, nel dettaglio il tragico destino che attende le migliaia di migranti eritrei, etiopi e sudanesi che ogni anno si avventurano nelle desolate distese di deserto, fuggendo i regimi corrotti e la miseria dei paesi d’origine, nella speranza di giungere in Israele, è un recente report della Ong Hotline for Migrant Workers. Che ha raccolto nel corso del 2010, la testimonianza diretta di oltre 60 vittime rimaste per mesi e mesi nelle mani dei beduini. La Ong ha  incrociato i dati sulla migrazione di oltre 11.700 persone dirette in Israele con i racconti dei migranti sfuggiti alla detenzione.

“Khalid e Abdullah mi liberavano la notte e mi portavano in un capanno vicino al bagno, dove mi violentavano uno dopo l’altro e questo succedeva quotidianamente. – racconta A.I.S una ragazza eritrea di 21 anni – Ci hanno messo delle catene di ferro alle caviglie in modo che non potessimo scappare. Ci bruciavano mani e piedi con un bastone che aveva alla base del ferro rovente. Porto ancora le ferite e le cicatrici delle botte e delle bruciature”.  A.I.S. racconta ancora: “ero vergine quando arrivai nel deserto. Le prime volte quando venivo stuprata piangevo e resistevo, poi smisi di oppormi”. Solo quando uno zio dall’Arabia Saudita pagò un riscatto di 2.800 dollari, lei venne rilasciata. Ma qualcuno venne ucciso ed altri furono sottoposti al traffico di organi.

Il report, ‘The dead of the wilderness’, dimostra che migliaia di persone sono finite sistematicamente nella rete di contrabbandieri beduini del Sinai (di origini sudanesi) che le hanno torturate e schiavizzate fino ad ottenere il pagamento di ingenti riscatti.

“Mi dissero che quelle donne non erano mie sorelle e nessuna di loro era mia moglie, dunque non erano affar mio. Ma le donne, per tutto il tempo piangevano talmente tanto da tenermi sveglio durante la notte…Cercai di impedire che fossero violentate”, racconta M.N. un sudanese di 35 anni prigioniero nel deserto per 6 mesi.

T.M.A. eritrea cristiana nata in Sudan, racconta che arrivò in Israele il 14 dicembre del 2010 ma solo dopo esser passata per l’inferno del Sinai: “raggiunsi un accordo con un agente in Sudan per fornirgli una somma di 2.500 dollari grazie ai quali avrei raggiunto Israele. Quando arrivai nel Sinai i trafficanti di uomini – Abu Abdullah e Abu Moussa – me ne chiesero 2.850. Poi ulteriori 7.000 dollari. Per costringermi a pagare la differenza m’incatenarono per le gambe ad altre cinque donne. Chiamavano la mia famiglia mentre mi colpivano braccia e gambe in modo che i miei parenti mi sentissero piangere e si decidessero a pagare il riscatto”. Ma l’inferno purtroppo non finisce con la prigionia nei campi dei beduini, prosegue in Israele. Le zone di confine tra Egitto e Israele sono zone franche, dove le autorità non intervengono. I migranti poi, una volta passato il confine, vengono condotti nei campi israeliani, come la prigione di Saharonim. Israele non ha una chiara politica per far fronte all’immigrazione. Il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha più volte definito i migranti “una minaccia al carattere del paese e al futuro di Israele”.

Come  ricorda S.T. un eritreo di 36 anni, una volta al confine con Israele “aspettammo i soldati israeliani e quando arrivarono ci chiesero di spogliarci per verificare che non avessimo armi con noi. Ci chiesero in inglese i nostri nomi e ci domandarono chi ci avesse condotto in Israele. Ma non perché andavamo in Israele. Dopo una notte ci trasferirono nella prigione di Saharonim. Io fui rilasciato dopo un mese a condizioni restrittive e senza un permesso di soggiorno”. Una volta giunti in Israele i richiedenti asilo sono uomini senza diritti e senza identità.  A malapena tollerati dalle autorità israeliane, faticano a trovare un lavoro e spesso sono costretti a rimpatriare. Nena News

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