Titoli in memoria di un criminale

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Quelli di giornale e quelli che dovrebbero concentrare in una parola tutta una vita.
I “titoli”, con Ariel Sharon, in vita e in morte, sono stati così generosi da risultare alla fine falsi, falsificanti e stucchevoli.
L’aveva previsto, poche ora prima della morte, l’acuto giornalista israeliano Gideon Levy: “Sharon è stato il ministro della guerra e più di ogni altro ha plasmato il linguaggio dominante di Israele: quello della forza, della guerra, dell’occupazione e della violenza. “Solo con la forza” era la sua dottrina e Israele, che non ha mai cercato di adottare nessun altro linguaggio, ha provocato danni al suo Paese che peseranno a lungo. Ricordiamo tutto questo prima che comincino a risuonare panegirici ed elogi” (Internazionale 10 gennaio 2014).
Per questo BoccheScucite, ai titoli che la quasi totalità dei commentatori sta dedicando a lui, “con grande riconoscenza per il suo instancabile impegno alla ricerca della pace” (la Stampa, 13. gennaio), “soldato valoroso e leader che sapeva osare” (Shimon Peres) “eroe della pace” (Corriere della Sera), “generoso nel dedicare la vita alla pace e al suo popolo” (Letta), “Coraggioso cercatore di pace” (Berlusconi), “Vero uomo di pace” (Casini), a tutti questi osannanti elogi preferiamo il limpido titolo del Manifesto: “il Nobel della guerra”
(Il Manifesto 12 gennaio 2014).

A noi e a tutti quelli che per anni hanno condiviso il pianto e la disperazione di intere famiglie sterminate dai bombardamenti, a noi e a tutti quelli che hanno semplicemente dato voce alle centinaia di risoluzioni dell’Onu contro l’occupazione e l’apartheid realizzato da quel muro che Sharon ha orgogliosamente difeso nonostante la comunità internazionale l’avesse condannato in tutti i modi, a tutti coloro che conoscono i crimini senza numero di cui Sharon si è macchiato, tutti questi “panegirici ed elogi” che riempiono i giornali, risultano stucchevoli e insopportabili.

Forse dovremmo, come fa Andrea Scanzi, prendere semplicemente atto che “questo paese è incredibile. Basta morire e i peccati di colpo paiono assolversi. Così, adesso, c’è già chi riabilita il signore della guerra Ariel Sharon con un candido “Un leader contraddittorio”. Riabilitare tutti i potenti: pessima abitudine che non rende onore alla storia e offende, in questo caso, migliaia di migliaia di vittime il cui massacro ha come indiscutibile responsabile solo lui, il signor Ariel Sharon”. (Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio)

Prendetevi allora altri 5 minuti per leggere le acute osservazioni di Paola Caridi e gettate tranquillamente nel cassonetto il vostro quotidiano “di sinistra” La Repubblica, che si unisce al coro della maggioranza: dopo tutto, col ritiro da Gaza, alla fine si è convertito in uono di pace!

Insomma, vorremmo usare una parola per descrivere Ariel Sharon… ma ci sembra molto dura…Nessun giornalista si è azzardato a giudicarlo tale…
Ma aprendo il quotidiano israeliano Haaretz, scopriamo che loro non si sono fatti tutti questi scrupoli ad usarla…

“Secondo gli standard internazionali riconosciuti, Sharon era un criminale di guerra. Da Qibya nel 1953 al Libano del 1982, la sua figura è stata legata a crimini di guerra. E lo Sharon dell’ultima fase non aveva cambiato il suo codice morale. Aveva semmai compreso, a suo modo, i limiti nell’uso della sola forza”. Gideon Levy, Haaretz

Ecco -scrive Paola Caridi- la Storia, ivi compresa quella scritta dagli studiosi israeliani, ha già impresso questo giudizio sui libri. Quello che Sharon ha fatto di deplorevole e crudele nei primi decenni della sua carriera militare, dalla prima guerra arabo-israeliana del 1947-48 sino al 1982, è già acclarato, sia dal punto di vista documentaristico sia da quello del necessario giudizio morale”.

Insomma, se può esser vero che per rispetto umano o per opportunità di farlo in queste ore, sia meglio evitare di scriverlo nei titoli dei giornali del giorno della sua morte, è necessario ammettere e scrivere, riconoscere e ricordare a chi ha la memoria corta, che Ariel Sharon è stato un criminale, perchè questo è il titolo che la Storia gli ha già dedicato.

BoccheScucite

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1 commento

  1. Si potrebbe trarre profitto dai titoli elogiativi del “criminale” Sharon, delle dichiarazioni, delle iniziative e di quanto altro in suo favore per fare un censimento e redigere la mappatura del controllo della “Israel Lobby” (termine desunti da Mearheimer e Walt) sulla politica interna ed estera dell’Italia nonché sull’informazione e sui media. Manca un serio studio su questo tema. Il problema esiste assai corposamente, ma non lo si può studiare per un reticolo crescentiedi leggi che vanno a criminalizzare qualsiasi tentativo di addentrarsi in questo terreno minato.

    È però di conforto la logica heleliana, quella dells tesi, antitesi e sintesi. Per cui se mi vengono a dire che Sharon, responsabile fra le altre cose di Sabra e Shatila, è un “uomi di pace”, sorge l’antitesi “no! è un immondo criminale”. Ma perché l’antitesi sia possibile bisogna che TUTTI, dico TUTTI, ribadiamo il sacrosanto principio delle libertà di pensiero e di espressione ogni volta che questa viene minacciata.

    Ho però assistito a troppi silenzi, ed anche quelli che condividono questo editoriale sono certo che almeno in parte si ritraggono, quando si tratta di spendere una parola in difesa di persone innocenti, di nulla altro colpevoli che di avere opinioni non gradite in Israele o nelle comunità ebraiche, che di Israele sono succursali nelle nostre patrie e nei nostri paesi. Se Sharon è un “criminale”, ho poco fa sentito un tg regionale dare la notizia che la comunità ebraica romana celebra questo “criminale”. Ma allora è o non è un “criminale”?

    Questa potentissima Lobby da anni sta usando tutti i suoi collegamenti per ottenere l’equiparazione penale antisionismo = antisemitismo, dove evito qui di analizzare il termine “antisemitismo”. In pratica, si vuole evitare qualsiasi minima critica ad Israele, e se proprio viene consentito di farne qualcuna, questa critica deve essere proprio “minima” e non intaccare in nessun la “legittimità” dello Stato di Israele, che nasce sul piano del diritto internazionale contestualmente con la “pulizia etnica” della Palestina nel 1948, una “pulizia etnica” che Ilan Pappe in una sua ultima intervista dice continua ancora oggi. Non mi addentro qui nella faccenda ONU, o Sanremo, e tutte le bardature del diritto internazionale coloniale che è quanto di meglio hanno saputo gli esperti del sionismo, per contrastare il senso di giustizia e di equità che scaturisce dal diritto naturale, presente nella coscienza di ogni uomo, in particolare di ogni cristiano, almeno quelli preconciliari.

    La propaganda israeliana (Hasbara), assai fornita di mezzi e uomini, tenta addirittura di arruolare anche i cristiani contro i musulmani. Ho letto con toni trionfalistici nella loro ultima propaganda che oggi i cristiani in “Israele” costituiscono il 2 % della popolazione, mentre “fuggono’ dai paesi islamici insidiati da gruppi jidaisti, sauditi, alleati dello stato israeliano. Ebbene, ho qui davanti a me il catalogo redatto da Karl Sabbah su una mostra “Britain in Palestine. The Story of British Rule in Palestine 1917-1948”, tenutasi a Londra lo scorso anno, da cui riporto prima di condedarmi i seguenti. Se i numeri non sono una opinione, le cifre che sto per dare dovrebbero parlare da sole.

    Nel 1860/61, nella terra denominata Palestina, gli “Jews” autoctoni erano 13.000 pari al 3,5% della popolazione complessiva di 369.000 abitanti, di cui 31.000 sono “Christians” ossia più del doppio della popolazione ebraica, e quindi oltre il 7 % a fronte del misero 2 % odierno. Salto i dati per anni intermedi e mi sofferno alla riga del 1914-15, dove malgrado l’immigrazione sionista dal 1882 in poi, controllata e limitata dal governo ottomano, gli ebrei (immigrati) salgono a 38.754 pari al 5,4% a fronte di 81.012 cristiani e su una popolazione complessiva di 722.103. Va aggiunto come particolare importante, documentabile, che gli ebrei “autoctoni” erano ostili e contrari agli immigrati ebrei sionisti. Le carte del Distaccamento italiano di palestina rivelano l’esistenza di manifestazioni delle tre componenti originarie della Palestina (musulmani, cristiani, ebrei) uniti contro i nuovi arrivati che di “religioso” ieri ed oggi avevano ben poco.

    Come tutti sanno, le cose cambiano con il Mandato britannico, che apre le porte ad una massiccia immigrazione sionista, causa della rivolta araba del 1936-39,sanguinosamente repressa dal governo di Sua Maesta, che tuttavia negli ultimi anni del suo Mandato si ravvede un poco, muta politica e suscita il “terrorismo” ebraico-sionista di cui tutti si sono dimenticati, anche se se trova traccia in Roma stessa dove dai “terroristi ebrei” fu fatta saltare l’ambasciata britannica.

    Obiettivi costante del sionismo fu sempre non quello di “convivere” con le altre due componenti, musulmani e cristiani, ma di diventare maggioranza assoluta nel paese, e cioè “Stato ebraico”. Si arriva quindi alla “pulizia etnica” del 1948 che non può essere negata neppure dalla storiografica sionista di un Morris. Il problema si sopsta a come giustificarla e legittimarla. Fa a pugni contro ogni elementare buon senso, e la cosa grida vendetta al cospetto di Dio, il fatto che ai 750.000 profughi palestinesi del 1948 (quelli cacciati dagli ebrei) si neghi il “diritto il ritorno” mentre questo “diritto al ritorno” viene riconosciuto a qualsiasi ebreo decida di venirsi a stabilire in “israele”, nuovo nome dato alla Palestina o Terra Senta e pervicamente rivendicata dalla propaganda israeliana: apriti cielo se perfino il Papa osa dire “Terra Santa” anziché “Stato ebraico di israele”…

    Devo continuare?

    Inutile aspettarsi qualcosa dal “processo di pace”, termine ipocrita e truffaldino di cui non si ricorda eguale.

    La raccomandazione che ancora una volta rivolgo a don Nandino e ai suoi collaboratori è quella di continuare certamente il loro impegno cristiano, ma di capire anche che la loro causa può essere rinforzata o indebolita a seconda dell’esistenza o meno di una libertà di pensiero, di ricerca, di espressione, di insegnamento. È bene dunque porre termine alla stagione dell’indignazione, che con queste persone non frutterà mai nulla, per passare a quella della rivendicazione del diritto ad affermare la propria visione della verità delle cose.

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