Trump e Israele: il punto critico di Gerusalemme aleggia sull’incontro alla Casa Bianca

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REDAZIONE 15 FEBBRAIO 2017

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di Jonathan Cook

14 febbraio 2017

Spesso descritta come l’argomento esplosivo nel conflitto israelo-palestinese, ci si aspettava che Gerusalemme incombesse sull’incontro di mercoledì (oggi) a Washington tra Donald Trump e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

E’ la prima volta che i due si incontrano faccia a faccia  da quando Trump si è insediato alla presidenza il mese scorso.

I due hanno importanti problemi da trattare, compresa l’espansione degli insediamenti israeliani e l’accordo nucleare con l’Iran. Ma è probabile che anche questi argomenti vengano messi in ombra dalla discussione dello status di Gerusalemme.

Le tensioni per il futuro della città sono alte , dato che Donald Trump ha promesso di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa che riconoscerebbe implicitamente la città come capitale di Israele.

La persona scelta da Trump  come ambasciatore degli Stati Uniti a Israele, David Friedman, un inflessibile sostenitore dei coloni, sembra  che abbia detto che intende lavorare stando a Gerusalemme invece che a Tel Aviv.

Nel frattempo, il governo di Netanyahu ha annunciato la revoca delle restrizioni sull’espansione degli insediamenti, evidentemente fiducioso che non affronterà alcuna reazione negativa  da Washington. Poco dopo l’insediamento di Trump nel mese scorso, i funzionari di Israele hanno rivelato dei piani per la costruzione di altre 560 nuove abitazioni a Gerusalemme est occupata.

Inoltre, i ministri di estrema destra del governo israeliano, stano facendo forti pressioni per una rapida annessione di  Maale Adumim, un grande insediamento vicino a Gerusalemme che isolerebbe ulteriormente la città dal suo entroterra della Cisgiordania. In seguito alle pressioni di Netanyahu, un voto del governo è stato rimandato fino a dopo l’incontro con Trump.

Un passo pericoloso

Queste varie mosse hanno il potenziale di scatenare un’esplosione di rabbia, sia tra i palestinesi che in generale in gran parte della regione.

La delicatezza  di vecchia data dell’argomento  Gerusalemme, deriva dal suo enorme significato politico, religioso e simbolico, ha detto Zakaria Odeh, capo della Coalizione Civica che è un’associazione di istituzioni per le organizzazioni della società civile a Gerusalemme.

“I palestinesi chiedono Gerusalemme est come capitale di uno stato futuro,” ha detto Odeh al sito web Middle East Eye (MEE). Se verrà loro negata, significherà la fine della soluzione dei due stati, delle speranze  dell’autodeterminazione palestinese e di qualsiasi tipo di processo di pace. Sarebbe davvero un passo molto pericoloso.”

Strettamente legato ai problemi di sovranità su Gerusalemme est, è il controllo palestinese dei luoghi sacri della città, compreso il sito più “incendiario” di tutti: la moschea di al-Aqsa nella città vecchia. E’ il luogo dove i palestinesi credono che sia arrivato il profeta Maometto dopo un miracoloso viaggio notturno dalla Mecca e da dove sia poi asceso al cielo.

Per questo motivo, centinaia di milioni di musulmani di tutto il mondo hanno un interesse appassionato riguardo al destino di Gerusalemme.

Il controllo su al-Aqsa

Odeh ha detto che il fallimento dei colloqui di pace negli scorsi 25 anni, in gran parte dipende dal rifiuto di Israele di concedere ai palestinesi Gerusalemme Est come capitale politica o di dar loro un significativo controllo su al-Aqsa.

Fin da quando Israele ha occupato Gerusalemme Est nel 1967, ha trasferito più di 200.000 coloni ebrei nella parte palestinese della città, e ha cercato di tagliare fuori la popolazione palestinese dalla Cisgiordania, costruendo un muro di separazione.

Come segno delle sue ambizioni territoriali, Israele si è annessa formalmente Gerusalemme Est nel 1980, in violazione della legge internazionale, dichiarando al città, la sua “capitale eterna e unita”.

Ha severamente limitato l’accesso dei palestinesi ad al-Aqsa, asserendo, allo stesso tempo, le sue rivendicazioni di sovranità per l’area della moschea che gli ebrei chiamano Monte del Tempio e che credono sia stato al di sopra di due templi distrutti da lungo tempo.

La polizia israeliana sovraintende all’accesso di al-Aqsa e ha permesso di entrare  a numeri da record ebrei ultra-nazionalisti. I politici israeliani di alto rango hanno chiesto che agli ebrei sia permesso di pregare lì, e alcuni hanno chiesto la distruzione della moschea.

“Per decenni, Israele ha colonizzato Gerusalemme più aggressivamente che qualsiasi altro luogo nei territori occupati,” ha detto Odeh.

Anche i tentativi israeliani di “unificare” Gerusalemme, la hanno resa più vulnerabile alla violenza, secondo Aviv Tartasky, un ricercatore che lavora per Ir Amin, un gruppo israeliano che sostiene il trattamento equo per i palestinesi di Gerusalemme.

“Gerusalemme è unica,” ha detto Aviv a MEE. “E’ il solo luogo dove ci sono centinaia di migliaia di israeliani e di palestinesi che vivono strettamente vicini  e in costante attrito. Questo è parte del motivo per cui Gerusalemme è stata così spesso il focus della resistenza palestinese all’occupazione.”

Il trasferimento dell’ambasciata

Si è ampiamente ritenuto che Trump, avendo puntato la sua credibilità durante la campagna elettorale sul trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, sarà riluttante a fare marcia indietro rispetto alla sua promessa.

Però, in un’intervista pubblicata venerdì scorso, mentre Trump si preparava per il suo incontro con Netayahu, ha indicato che avrebbe potuto ripensarci.

“Ci sto pensando. Sto studiando l’argomento e vedremo che cosa accadrà.,” ha detto al giornale israeliano Hayom. “Non è una decisione facile. Se ne è discusso per così tanti anni. Nessuno vuole prendere questa decisione, e ci sto pensando seriamente.”

Ha anche definito “inutile” l’espansione degli insediamenti.

L’apparente nervosismo di Trump è probabile che rifletta il consiglio che sta ricevendo dai funzionari del Dipartimento di Stato e dai capi di stato arabi.

Bob Corker, presidente della commissione del Senato per le relazioni estere, lunedì ha rivelato che Trump in origine aveva inteso fare del trasferimento dell’ambasciata il suo primo annuncio come presidente. “La mia idea è che probabilmente non si stanno ancora trasferendo là,”, ha detto Corker, aggiungendo che l’amministrazione stava aspettando di affrontare prima le obiezioni dei leader arabi.

Secondo i resoconti dei media israeliani, l’intelligence militare israeliana ha, allo stesso modo, avvertito della probabilità di violenze diffuse se l’ambasciata verrà trasferita.

Credono che le proteste e le sommosse potrebbero rapidamente estendersi da Gerusalemme Est ai palestinesi in Israele e alla Cisgiordania e a Gaza, e anche ai più vasti mondi arabi e musulmani. Anche i siti ebrei e israeliani in tutto il mondo sarebbero sotto la minaccia di rappresaglie.

Ruolo decisivo nelle insurrezioni

Queste paure non sono certo ipotetiche. Gerusalemme ha dimostrato di essere frequentemente un punto di rottura. Non meno importante è il fatto, ha detto Odeh, che la città ha svolto un ruolo fondamentale nelle due grandi insurrezioni palestinesi, note come Prima e Seconda Intifada.

Anche più di recente, è stata il centro di una serie di attacchi fatti con coltelli e macchine lanciate contro la gente, a volte definita intifada del lupo solitario – cominciati alla fine del 2015. Il brusco aumento di violenza che  è diminuita, ma non ancora terminata, è stato innescato in gran parte dai rinnovati timori di una presa di controllo di al-Aqsa da parte degli israeliani.

La maggior parte degli analisti credono che oggi i palestinesi di Gerusalemme Est siano troppo isolati e deboli per  preparare il tipo di insurrezioni  prolungate  e organizzate che una volta compivano contro l’occupazione.

Durante la prima intifada, iniziata nel 1987, mentre la dirigenza palestinese era ancora in esilio, Gerusalemme aveva delle forti    locali. Sotto Faisal Husseini, capo di una delle più ragguardevoli famiglie della città, i giovani leader organizzarono la disobbedienza civile di massa tramite le loro famiglie in ogni quartiere.

Ci sono stati scioperi lunghi e ampiamente rispettati, rifiuto di pagare le tasse, boicottaggio dei prodotti israeliani, e grandi dimostrazioni di protesta che spesso terminavano in scontri con le forze di sicurezza.

“Queste azioni hanno reso molto difficile per Israele governare Gerusalemme Est,” ha detto Odeh. E’ stata questa instabilità che ha contribuito alla decisione di Israele di permettere alla dirigenza palestinese all’epoca di Yasser Arafat di ritornare e di fondare l’Autorità Palestinese.

La città orfana

Poi, nel 2000, il leader israeliano dell’opposizione, Ariel Sharon, guidò ranghi serrati  di poliziotti armati al compound di al-Aqsa per asserire il controllo di Israele su quel luogo, scatenando la Seconda Intifada.

Israele reagì isolando Gerusalemme, osservò Odeh. L’Autorità Palestinese e le sue istituzioni furono bandite dalla città, così come i servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese.

Il muro fu costruito sia per sistemare 100.000 residenti palestinesi fuori dalla città, tagliati fuori dai servizi locali, sia per isolare Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania.

La conseguenza è stata che i leader locali hanno definito Gerusalemme una “città orfana”. I residenti palestinesi ricevono una frazione del bilancio municipale, lasciando l’82% delle persone al di sotto della soglia di povertà. La demolizione delle case è a livelli record. Le violenze della polizia nei confronti dei residenti palestinesi sono normali.

Oggi i comitati popolari nei quartieri di Gerusalemme Est, sono una pallida ombra di quelli che avevano condotto la Prima Intifada, ha notato un rapporto del 2012 riguardante Gerusalemme Est, scritto dal Gruppo internazionale di crisi, che è un gruppo di esperti per la risoluzione del conflitto che ha base a Washington e a Bruxelles.

Questo gruppo ha scoperto che i comitati agivano specialmente in modo difensivo per cercare di fermare sia la presa di controllo dei loro quartieri da parte dei coloni sia le

Crescenti incursioni  fatte da criminali in assenza dei servizi di sicurezza palestinesi.

“La povertà e le occasioni limitate hanno portato al crimine e alla droga, e questo ha gravemente indebolito la società palestinese a Gerusalemme Est,” ha detto Odeh. “C’è ora un vuoto di potere e l’incapacità di organizzare.”

Il tallone di Achille

Cionondimeno, Gerusalemme e i suoi luoghi sacri sono ancora un potente simbolo di nazionalismo palestinese e un potenziale tallone d’Achille per Israele, data l’insolita vicinanza in cui vivono i coloni ebrei  e i palestinesi.

Quasi il 40% degli ebrei israeliani uccisi durante la Seconda Intifada, molti in attacchi suicidi, erano stati presi di mira a Gerusalemme, ha osservato Hillel Cohen, un esperto israeliano riguardo a Gerusalemme Est.

Analogamente, la violenza degli scorsi 18 mesi si è focalizzata su Gerusalemme. Il mese scorso un palestinese ha investito con un TIR  un gruppo di soldati israeliani in città, uccidendone 4 e ferendone 17. L’esposizione di Israele agli attacchi è soltanto aumentata dato che le autorità hanno intensificato l’espansione degli insediamenti a Gerusalemme Est e hanno cercato di integrarli con Gerusalemme Ovest. Una linea tranviaria che collega le due parti della città è diventato un luogo di attacchi regolari.

“Le contraddizioni nella politica israeliana sono diventate più chiare dato che è aumentata l’integrazione,” ha detto Taartasky. “Più Israele opprime i palestinesi a Gerusalemme Est, più viene sentita la reazione a Gerusalemme Ovest.”

Il ruolo di guardiani

I palestinesi di Gerusalemme Est possono essere isolati e sotto attacco, ma mostrano tutti i segnali di continuare a prendere sul serio il loro ruolo di guardiani della loro città e dei suoi luoghi santi.

Dopo che Israele ha impedito ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania di raggiungere Gerusalemme, i cittadini palestinesi di Israele che sono un quinto della popolazione israeliana, hanno assunto un ruolo sempre più attivo, da poco tempo, tramite il ramo Nord del Movimento islamico*.

Israele ha messo fuori legge il gruppo proprio  più di un anno fa, in gran parte per impedire il suo attivismo ad al-Aqsa, ha detto Cohen. Molti cittadini palestinesi sono, però impegnati a lottare insieme  ai palestinesi di Gerusalemme Est per proteggere al-Aqsa dagli sconfinamenti di Israele.

Cohen ha detto al sito Middle East Eye (MEE): “Israele è riuscito a indebolire la lotta palestinese a Gerusalemme, ma non ha indebolito le emozioni palestinesi per al-Aqsa.

Inoltre, il simbolismo di Gerusalemme e di al-Aqsa,  risuona  più forte che mai nel mondo musulmano e arabo. Per questa ragione, Netanyahu e Trump potrebbero trovare il loro spazio di manovra a Gerusalemme, più limitato di quanto vorrebbero

*http://www.israele.net/messo-fuori-legge-in-israele-il-ramo-nord-del-movimento-islamico

Nella foto: palestinesi di Gaza pregano davanti alla Moschea al-Aqsa nella città vecchia a Gerusalemme.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/trump-and-israel-flashpoint-of-jerusalem-hangs-over-white-house-meeting

Originale: non indicato

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

 

 

Trump e Israele: il punto critico di Gerusalemme aleggia sull’incontro alla Casa Bianca

http://znetitaly.altervista.org/art/21735

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