Una nuova “boccascucita” da pochi giorni si è unita al team dell’Operazione Colomba nella quotidiana resistenza degli abitanti del villaggio di At Twani. Pubblichiamo come sempre il comunicato ufficiale dell’associazione ma abbiamo chiesto a Lorenzo Nardelli di raccontarci le sue impressioni dalle prime giornate e purtroppo anche dei primi episodi di aggressioni dei coloni.
Stamattina è venuta in visita al villaggio una delegazione di studenti olandesi. Erano molto interessati al conflitto in generale e sono rimasti colpiti dalla situazione qui. Ci hanno fatto molte domande riguardo a come gli abitanti affrontano l’occupazione ed i risultati che ottengono.
Ma proprio poche ore prima dell’arrivo della delegazione, appena svegli e ancora un po’ addormentati, riceviamo una telefonata da un villaggio vicino, Umm al Kheer. Due bulldozer dell’esercito israeliano sono arrivati per demolire, non si sa cosa: case, tende o capanne per le pecore. Questo villaggio di beduini, ormai ex nomadi, è letteralmente circondato dalla colonia di Karmel. Le case come le intendiamo noi o come si possono vedere a Tuwani qui non esistono.
In totale ci sono circa 24-25 abitazioni, tra tende, lamiere e pietre ammassate. Su 20 di esse pende un ordine di demolizioni dell’esercito da molto tempo. Temiamo il peggio, temiamo che anche ad Umm al Kheer tocchi la sorte di altri piccoli villaggi, letteralmente spazzati via dalle ruspe israeliane.
Viene quasi da piangere.
Tre di noi si fiondano sul posto in taxi, 10 minuti di strada, il tempo vale più dell’acqua in questi casi.
Ecco cosa troviamo davanti ai nostri occhi: una casa è già stata demolita, le lamiere di una seconda stanno per essere piegate e abbattute dalla pala di un bulldozer.
Su queste due costruzioni non c’era nessun ordine di demolizione, erano state demolite già un anno fa, ma i loro abitanti le avevano ricostruite ed erano tornati ad abitarle.
Questa è la resistenza nonviolenta.
Ma purtroppo stanotte una coppia di anziani e una donna sola con nove figli dovranno trovare un altro posto dove dormire. Per fortuna l’ospitalità da queste parti abbonda, ma domani? cosa faranno? troveranno la forza per ricostruire nuovamente?
Chissà cosa pensava il manovratore israeliano del bulldozer, o l’ingegnere che lo dirigeva, o il soldati che li proteggevano. Chissà cosa pensano in questi momenti. Riescono davvero a giustificare tutto ciò oppure eseguono semplicemente il loro lavoro senza pensarci?
In attesa di risposte cerchiamo di ricostruire gli avvenimenti attraverso i video girati. La parte più difficile del vivere qui è metabolizzare ciò che accade.
Riguardare le immagini fa montare una rabbia enorme.
Cerchiamo di non trasformarla in odio.
Se ce la fanno gli abitanti di questa terra possiamo e dobbiamo farlo anche noi.
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