Turchia e Siria: sangue, lacrime e muri

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REDAZIONE 7 MARZO 2017

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di Andre Vltchek

6 marzo 2017

Un poeta turco, Mustafa Goren, è in piedi in mezzo a una strada  a  Karkamiş, una città  di confine. Alza il suo dito indice verso il cielo, in maniera profetica, poi mi grida, con la sua voce potente:

“Sono contro l’invasione in Siria! E’ questo un altro gioco dell’Occidente?  Questi sono i nostri figli. I nostri ragazzi  stanno morendo là. Questi sono bambini siriani innocenti che vengono fatti a pezzi. Perché i siriani devono scappare in Europa, ditemi perché? Perché devono umiliarsi, soffrire? La Siria di solito era ricca. Le persone sono anche più colte di noi, più colte dell’Occidente. Come è iniziato il loro conflitto?

Mustafa poi assume una posa drammatica. Improvvisamente somiglia al grande poeta sovietico Mayakovski, sputando fuori i suoi versi pieni di rabbia. Questa non è soltanto poesia, ma un disperato j’accuse?

Quasi volessero deriderlo,  dietro le sue spalle, dei camion militari turchi stanno spostandosi verso il confine, attraversando le strade dove quasi tutti i negozi sono stati chiusi, tristi vittime del conflitto che continua a devastare sempre di più un’economia  turca già disperata.

“Ora parlo all’Europa: presto annegherete nell’acqua che state bevendo ora. Pagherete per quello che stata facendo alla Siria e ad altri paesi. E’ solamente colpa tua, Europa! E’ tutta colpa tua, Occidente! Un giorno i veri leader del mondo arriveranno e vi sospenderanno le forniture di gas e di petrolio, e vi troverete nella merda ancora più abbondante di quella in cui avete gettato questa parte del mondo! Dovrete bruciare i vostri abiti e scarpe disegnati dagli stilisti, solo per scaldarvi. Europa, ti sei dimenticata, ma presto ti verrà ricordato, Europa che siamo tutti esseri umani!”

Goren recita davanti a un’umile bancarella che vende sigarette: è ornata con fotografie storiche di Kemal Ataturk. A pochi metri da lì, un’enorme torre di guardia si innalza verso il cielo scuro e nuvoloso.

Il confine è proprio lì, caratterizzato da un alto muro di cemento, grigio e malinconico e da varie torri di osservazione. Proprio di fianco alla porta, un’unità medica mobile e varie ambulanze sono in attesa. Sono pronte per attraversare la frontiera, a spostarsi in Siria, dove l’esercito turco ufficialmente sta combattendo i terroristi, ma in realtà sta indebolendo le forze siriane. L’operazione si chiama: “Scudo dell’Eufrate.”

“L’ISIS è arrivata fino a qui, alla città siriana di Jarabulus, proprio al di là del confine”, mi ha spiegato Bulent Polat, un commerciante il cui negozio è ora semivuoto, a causa della guerra.

Jarubulus è sotto il controllo delle forze armate turche. Pensate soltanto che il governo turco non permette al presidente siriano Assad di mandare aerei da caccia più vicino di 3 km al confine, ma permette all’Isis di venire di arrivare soltanto a 3m. Non avremmo mai dovuto interferire con la politica della Siria, e allora ci sarebbe la pace!”

Mr. Polat appartiene al partito di opposizione denominato ‘Partito Repubblicano del popolo’,  E’ un kemalista  che per anni ha lavorato su entrambi i lati del confine. Ora ricorda, con disgusto:

“Per mobilitare la gente contro Assad, i militanti anti-governativi appoggiati dalla Turchia e dall’Occidente, si vestivano con le uniformi militari siriane, poi sparavano ai civili, uccidendone molti. Poi dicono: ‘L’ha fatto Assad!’ E’ accaduto in tutta la Siria.”

Ora la Turchia sta costruendo un muro lungo 900 km. che si suppone chiuda ermeticamente il suo confine con la Siria. Il sito inglese Express.co.uk ha citato la parole del presidente  turco  Recep Tayyip Erdoğan: “Il problema del terrorismo e il problema dei rifugiati saranno risolti quando renderemo sicuro il suolo siriano passo passo”.

La popolazione curda su entrambi i lati del confine è chiaramente indignata a causa del muro. La struttura alta e brutta divide le comunità e segna la regione come un orribile sfregio. Ora le forze curde possono sempre entrare in Siria, usando carri armati e veicoli blindati , mentre i siriani  vengono tenuti fuori.

E’ tassativamente  proibito fotografare la regione di confine. In effetti, ai giornalisti stranieri è proibito anche fare domande. In Turchia vige la legge marziale e chiunque può essere trattenuto e interrogato per giorni, senza accuse o spiegazioni.

Lasciammo Karkamiş e andammo in un vecchio cimitero da dove abbiamo fotografato il muro e le pigre acque del fiume Eufrate. La città siriana di Jarabulus era proprio davanti a noi.

Le persone erano tese. Un agricoltore locale ricordava:

“L’immissione dei militanti iniziò dal territorio turco. Assad dovette dare il via a un’operazione difensiva per la sicurezza. Ecco come è iniziata la guerra.”

Sapevo esattamente che cosa diceva. Nel 2012 lavoravo nei dintorni di Antakya, e scoprii che, mentre veniva ufficialmente catalogata come ‘struttura per i rifugiati’, di fatto il campo profughi di Apaydin era una struttura di addestramento per le squadre jihadiste anti-siriane. La struttura della NATO, cioè la base aerea di Incirlik, vicino alla città di Adana – presumibilmente addestrava vari altri gruppi. Nel 2013 ritornai ad Antakya per girare un documentario per il canale televisivo  sudamericano, Telesur. L’intera zona era trasformata in una zona di sicurezza, e la mia squadra è stata ripetutamente fermata e minacciata. Siamo stati in grado di seguire le tracce dei militanti che venivano armati in  Turchia. Coloro che erano feriti in Siria, venivano curati ad Antakya.

Ora, da Gaziantep a Kilis, tutta l’area  è inondata da rifugiati e la sua economia è distrutta.

Abbiamo viaggiato attraverso dei villaggi, come Ikizkaya che consistono principalmente di case di argilla, molte delle quali sono abbandonate.

La paura è dappertutto. Nel villaggio di Kalbursait, vicino a Karkamiş, un rifugiato siriano ha spiegato perché  ha vissuto lì, per 4 anni, con i suoi animali.

Se la guerra finirà, tornerebbe indietro?  Ha risposto che non lo sa.

“Di chi è la colpa della guerra?” ho chiesto.

“Non lo so…” è stata l’immediata risposta.

“Andiamo via”, ha insistito il mio interprete. “Quest’uomo è pietrificato.”

Tutti sembrano  spaventati.

Una sera sono stato accompagnato dai miei amici del TKP Partito comunista turco) vicino all’ingresso posteriore dell’Ospedale statale Ersin Aslan a Gazantep. E’ il luogo dove i feriti dell’Esercito Siriano Libero ed altri militanti vengono portati di sera. Abbiamo ordinato del tè a un bar locale, e abbiamo cominciato a parlare con il personale. Improvvisamente c’è stato un forte urlo dall’esterno:

“Allau Akbar – Bum!”

Gli avventori dei bar hanno cercato di corsa  un riparo. Noi siamo usciti, per indagare. Un uomo con la barba, che ovviamente parlava arabo, era appoggiato al muro. Aveva due  ferite causate da arma da fuoco ai piedi. Le ferire erano infette e l’umo era chiaramente angosciato. Stava borbottando qualcosa sulla jihad.

Gaziantep è un centro di reclutamento per i quadri militanti e per l’Esercito Siriano Libero; lo sono anche le città piccole e grandi, come Kilis e Antakya.

La sera mi hanno portato in una panetteria vicina a una moschea, a Gaziantep dove avviene il reclutamento e l’indottrinamento dei militanti.

Mi hanno dato fotografie di corpi fatti a pezzi da potenti esplosioni. Mi sono state mostrate immagini di bambini morti e di persone in uno stato di totale disperazione.

Mr. Kutay Sirikli, del partito di opposizione TKP, ha puntato un dito accusatorio sia all’Occidente che ad Ankara:

“Recep Tayyip Erdoğan è uno dei padri fondatori del  Progetto del ‘Medio Oriente Grande’. Sta cercando di politicizzare tutto il Medio Oriente. Il suo sogno è un nuovo Impero Ottomano. Naturalmente se c’è qualsiasi nuova formazione in questa parte del mondo, è sempre collegata all’Occidente. Tuttavia,  di tanto in tanto, Erdoğan  prende iniziative da solo, e ottiene profitti: il petrolio  che viene rubata dall’Isis nelle regioni siriane arriva in Occidente attraverso la Turchia. Lo raffinano qui.

Mi parlano di orribili campi profughi  dove dilagano abusi sui minori e perfino stupri. In passato ne ho visitati parecchi di questi, intorno ad Antakya, e, questa volta,  uno vicino alla città di Nizip. Non sembrano essere brutti come quelli in Europa, ma non si sa mai che cosa si nasconde sotto la superficie.

Ora i rifugiati siriani ottengono permessi di lavoro e si dice che presto saranno in grado di fare domanda per avere la cittadinanza turca se supereranno la prova di lingua. I bambini siriani ricevono un corso intensivo di lingua, e poi possono frequentare le scuole locali. Alcuni rifugiati ricevono anche l’equivalente del salario minimo turco come sostegno: 1400 lire turche al mese (quasi 400 dollari americani).

La Turchia sta dimostrando, contemporaneamente, grande compassione ed eccessiva brutalità.

A Istanbul, lo storico Yiğit Günay, ha chiarito la contraddizione:

“Molte persone credono che questo governo abbia qualche piano integrato. La verità è che non c’è nulla di simile, neanche un qualche piano biennale. Nessuno ha più fiducia di nessuno e le cose continuano a cambiare da un giorno  all’altro.”

Mentre andiamo in macchina verso l’aeroporto di Adana, il mio amico e l’interprete sembrano improvvisamente stanchi:

“Dato che sono una persona che ha visitato Aleppo prima dell’invasione, sono devastato a causa di ciò che è accaduto a quella antica e stupenda città…Era un florido centro di commerci con siti archeologici e storici incredibilmente belli,  quando ero là… ora è una città che avrà bisogno di decenni per riprendersi; la maggior parte del danno è irreparabile. L’intera area è ora un disastro totale…”

Prima di entrare nella città di Adana, le luci intense della pista della base militare di Incirlik emergono improvvisamente dall’oscurità. Questo aeroporto è forse il simbolo più vivido dei giochi di guerra della NATO in questa parte del mondo. Non si può passare – quasi tutte le macchine vengono fermate e controllate.

La paura sta inghiottendo la Turchia sud-orientale. Quando varie ore prima siamo entrati nella città di confine di Elbeyli che si attraversa andando verso a città siriana di Al Bab che è ora assediata, quello che ci siamo trovati di fronte erano nuove possenti muri e recinzioni, e anche video camere di sicurezza altamente tecnologiche. Da lì, l’esercito turco invade periodicamente la Siria.

Decisi di farmi tagliare i capelli qui, in modo che potevo parlare con i locali. Dopo pochi minuti soltanto, il mio barbiere bisbigliò: “Ti stanno circondando.” La polizia e le squadre della sicurezza vestite  in borghese, ci stavano guardando attraverso la finestra, annotando delle cose, telefonando. Pagammo e ci allontanammo in macchina da quella città tetra, a velocità folle.

Non saremmo stati in grado di durare a lungo qui. Giocare al gatto e al topo è estenuante e realmente pericoloso. Che cosa stava davvero cercando di nascondere la Turchia? E’ un fatto risaputo che sta addestrando i militanti e che sta invadendo la Siria. Tutto questo non è un segreto. Che cosa è, quindi?

Forse il vero ‘segreto’ è che molti dei suoi cittadino sono realmente contro la guerra, e che non soltanto la Siria, ma in qualche misura anche la Turchia, sta ora soffrendo e sanguinando.

Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha scritto articoli sulle guerre e i conflitti in dozzine di paesi. Tre dei suoi libri più recenti sono: Il romanzo rivoluzionario “Aurora”, e due opere di successo di saggistica:  “Exposing Lies of the Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism [Lotta contro l’imperialismo occidentale] Guardate altri suoi libri su: http://andrevltchek.weebly.com/books.html

Andre sta realizzando documentari per teleSUR e Al-Mayadeen. Guardate Rwanda Gambit, il suo documentario  sul Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo.

Dopo aver vissuto in America Latina, in Africa  e in Oceania, Vltchek attualmente risiede  in Asia Orientale e in Medio Oriente  e continua a lavorare in tutto il mondo. Può essere raggiunto sul suo sito web http://andrevltchek.weebly.com/ e su Twitter https://twitter.com/AndreVltchek

Nella foto: La Turchia sta cominciando a costruire un muro al confine con la Siria.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.counterpunch.org/2017/03/06/turkey-and-syria-blood-tears-and-walls

Originale: NEO

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

Turchia e Siria: sangue, lacrime e muri

http://znetitaly.altervista.org/art/21896

 

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