Tutto a posto, tutto normale. Di Jeff Halper

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18 febbraio 2012. Nonostante le proteste occasionali provenienti dall’Europa, qui si dice che la “situazione” sia stata normalizzata. Gli israeliani godono di pace e tranquillità, della sicurezza personale e di un certo boom economico (pur con i soliti problemi neoliberisti di un’equa ripartizione). Hanno il sostegno, incrollabile e bi-partisan, del governo americano e del Congresso, scudi efficaci di qualsiasi tipo di sanzioni internazionali. Soprattutto, gli ebrei israeliani confidano nel fatto che quegli arabi fastidiosi vivano da qualche parte “laggiù” oltre il muro e il filo spinato, e che le barriere siano servite a pacificare il conflitto, che tutto sia sotto il controllo dall’esercito israeliano. Un recente sondaggio ha rilevato che gli israeliani usano più il termine “sicurezza”, che quello di “occupazione”. La parola “pace” si è classificata undicesima fra le preoccupazioni dell’opinione pubblica israeliana, trascinandosi dietro “occupazione”, “criminalità”, “corruzione”, “differenze religiose” e altre questioni più pressanti.

Per la comunità internazionale, il “Quartetto” che rappresenta gli Stati Uniti, l’Unione europea, Russia e Nazioni Unite nell’inesistente “processo di pace” è passato completamente sotto silenzio. Il 26 gennaio Israele ha rifiutato di presentare la sua posizione sui confini ed altre questioni chiave sul negoziato e non sono previste nuove riunioni. Gli Stati Uniti hanno abbandonato ogni pretesa di essere un “onesto mediatore”. Mesi fa, quando gli Stati Uniti sono entrati nella loro interminabile “stagione di elezioni”, Israele ha ricevuto il via libera sia da democratici e repubblicani a fare ciò che ritiene più opportuno nei Territori Occupati.
Lo scorso maggio Netanyahu aveva invitato il Congresso ad affrontare e inviare un chiaro messaggio a Obama: giù le mani da Israele. Quella stessa settimana, Obama, pur di non essere fatto fuori, aveva ribadito la promessa di Bush che Israele non dovrà tornare ai confini del 1967 e non dovrà rinunciare ai suoi maggiori blocchi di insediamenti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Egli aveva anche colto l’occasione per promettere un veto americano alla richiesta dei palestinesi di appartenenza alle Nazioni Unite, anche se questo sarebbe equivalso al riconoscimento ufficiale dei due-Stati previste dal trattato che gli Stati Uniti hanno sostenuto di promuovere in tutti questi anni.
Nonostante tutto questo, per quanto riguarda Israele e gli ebrei israeliani, il conflitto e anche la necessità di finzione sono finiti. L’unica cosa che resta da fare è distogliere l’attenzione da esso, e rivolgersi a “questioni globali più urgenti”, in modo che la questione palestinese scompaia completamente. Ed ecco l’Iran!

E allora la “minaccia demografica”, “la guerra del ventre” che finirà per imporre una soluzione? Beh, finché l’autorità palestinese è impegnata a separare la sua gente attraverso l’autodeterminazione, Israele non ha nulla di cui preoccuparsi. Mentre l ‘Autorità palestinese gioca alla “soluzione dei due stati”, Israele mantiene tranquillamente i palestinesi nelle 70 piccole isole delle aree A e B, blocca le porte e lascia che la comunità internazionale dia loro da mangiare, e così costruisce una Grande Terra di Israele con la complicità americana ed europea. In realtà poi, nulla dimostra l’auto-segregazione più del sistema neoliberista perseguito dal primo ministro Salem Fayyad. Con la costruzione di nuove autostrade (con l’assistenza giapponese e USAID) che rispettano la “Grande Gerusalemme” israeliana e convogliano il traffico del canale palestinese di Ramallah a Betlemme attraverso la lontana Jericho, esprime la volontà di accettare l’espansione territoriale di Israele in cambio della possibilità di “fare affari”. Fayyad ha inventato una nuova forma di oppressione neoliberista-by-assenso: apartheid vitale (vitale, almeno, per la business class palestinese). E come nei bantustan del Sud Africa dell’apartheid, l’Autorità Palestinese mantiene un ordine repressivo interno attraverso la sua milizia, che diventa di fatto un secondo strato di occupazione. (Nel 2008, durante Piombo fuso, uno dei pochi luoghi al mondo in cui non vi furono manifestazioni fu la West Bank, dove era proibito manifestare per ordine dell’Autorità palestinese. L’allora Primo Ministro Olmert affermò che questa era la prova di come effettivamente la i palestinesi erano stati pacificati.)

Infatti, aggrappata alla soluzione dei due stati e continuando a partecipare a “negoziati” che negli anni si sono dimostrati una trappola, la leadership palestinese ha un ruolo centrale nel mantenere oppresso il suo stesso popolo. Quando la leadership palestinese si assume la prerogativa di negoziare una soluzione politica senza avere la necessaria autorità o influenza per farlo, e quando, in aggiunta, non riesce ad abbandonare i negoziati anche dopo che sono stati esposti come una trappola, è pericolosamente vicino ad essere una leadership collaborazionista. Intanto Israele imprigiona i palestinesi in piccole celle e continua anche oggi ad attuare una sorta di mini-pulizia etnica attraverso migliaia di micro-eventi che hanno l’effetto cumulativo di spostamento, espulsione, segregazione e detenzione. E così Israele si tira fuori dai guai. Invece di essere accusata direttamente di creare un regime di apartheid, sfrutta semplicemente la volontà dell’Autorità palestinese a perpetuare l’illusione di negoziati come una cortina di fumo che copre la reclusione dei ‘detenuti palestinesi’. Una volta che le operazioni di rastrellamento in corso saranno completate, il processo di carcerazione sarà concluso.
(dal sito di Ichad)

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