E’ passato un anno. Sarebbe meglio dire, è passato solo un anno. Un anno dall’uccisione, da parte di due poliziotti, di un ragazzo ad Alessandria d’Egitto. Si chiamava Khaled Said, non aveva fatto niente, non aveva commesso nessun reato, era anche di quei ragazzi che non partecipavano alle manifestazioni di protesta. Era andato a passare qualche ora in un internet café. Due poliziotti lo hanno preso, pestato a sangue, sbattendogli la testa contro un tavolino di marmo e poi una cancellata. E’ morto per le botte. Esattamente un anno fa.
Per i ragazzi egiziani, la morte assurda di Khaled Said è considerata l’inizio della rivoluzione. Da quel momento in poi, i ragazzi hanno compreso che non si sarebbero salvati, che nessuno si sarebbe potuto difendere dal regime Mubarak. Che chiunque poteva essere Khaled Said. Il simbolo di quello che possono fare ingiustizia, tracotanza, corruzione. Assenza dello Stato di diritto. In quel momento sono state create le pagine Facebook “Siamo tutti Khaled Said”, che hanno raccolto centinaia di migliaia di giovani egiziani, più o meno impegnati in politica, o non impegnati affatto.
Da allora, ci sono voluti pochi mesi per scatenare una vera e propria rivoluzione, guidata dai giovani, accesa da Khaled Said. Che ancora, però, non riposa in pace. I suoi aguzzini non sono stati ancora condannati. E la rivoluzione è tallonata dalla contro-rivoluzione.
I ragazzi del Cairo e di Alessandria sono, però, ancora “tutti Khaled Said”. Non possono e non vogliono tornare indietro, a quando erano bersagli senza alcuna protezi0ne
La fotoè stata rimessa in rete da Wael Ghonim, su twitter. E’ la prima protesta per la morte di Khaled Said di fronte al ministero dell’interno egiziano. Le proteste, per sei anni almeno, sono state quasi sempre di questa entità. Poche decine di persone, circondate da cordoni e cordoni di polizia. Poi, d’un tratto le decine di persone sono diventate milioni… Meditate, gente, meditate.
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