2 NOVEMBRE 2013 – 16:55
Nel disinteresse quasi generale, in questi giorni israeliani e palestinesi hanno ripreso a spararsi dalle parti di Gaza. Razzi, tunnel, bombardamenti mirati, quattro miliziani di Hamas uccisi, cinque militari israeliani feriti. Il solito, insomma.
Altrove John Kerry sta cercando di dare un senso al negoziato di pace. La settimana scorsa Susan Rice, la nuova consigliera per la sicurezza nazionale, aveva corretto al ribasso le ambizioni mediorientali dell’ultimo triennio della presidenza Obama, fissando tre obiettivi: un accordo finale per il conflitto israelo-palestinese; qualcosa di consistente nella trattativa con l’Iran; gestione degli avvenimenti siriani e egiziani nel momento in cui accadono: una specie di minuto mantenimento delle Primavere arabe.
Il più irraggiungibile dei tre obiettivi è un accordo finale fra israeliani e palestinesi: non solo nel tempo che resta all’amministrazione Obama ma anche in quello dei prossimi due presidenti. Ad essere ottimisti. Credo si capisca che io non lo sono. Rice ha inserito la “Questione palestinese” nel programma solo per l’insistenza del povero Kerry, a quanto sembra l’unico a crederci.
Non vi voglio tediare sulle technicalities del negoziato, ognuna delle quali in realtà è un macigno che non si fa sbriciolare né aggirare. Ma nulla è risolvibile e tutto lo è: dipende solo dalla qualità dei leaders che devono sbatterci la testa. Quelli israeliani e palestinesi sono leaders senza qualità. La soluzione sarebbe se il sionismo sapesse produrre – che so – un Madiba Mandela e il risorgimento palestinese (l’interfaccia del sionismo) un Mahatma Gandhi.
Quest’estate, quando sembrava che Madiba stesse per morire, Yitzhak Lior chiedeva su Haaretz ai lettori: “Voi avreste liberato Mandela?”, come fecero i nazionalisti bianchi afrikaners. La risposta che Lior dava era no. Un paio di settimane più tardi Amira Hass cercava di spiegare “Perché un Gandhi palestinese non è mai emerso né mai, probabilmente, accadrà”.
Se non sono mai stati prodotti un Madiba israeliano né un Mahatma palestinese (a tutti noi anderebbe benissimo anche un Mandela palestinese e un Gandhi israeliano), è per l’incapacità dei due popoli di uscire davvero dalla loro dimensione di nemici. A settembre erano passati vent’anni dagli accordi di Oslo: nessuno li ha ricordati, ancor meno celebrati. Nonostante due decenni di negoziato e di contatti diretti, proclamandolo apertamente o intimamente pensandolo, israeliani e palestinesi restano convinti che un giorno avranno il bottino pieno della partita. Non una pace equa e onorevole per tutti. No: i primi convinti che uno Stato palestinese non nascerà mai, i secondi che prima o poi gli israeliani potranno essere ributtati a mare.
I sondaggi dell’una e dell’altra parte ripetono che una solida maggioranza di israeliani e palestinesi vuole una soluzione pacifica. Ma se si scende nei dettagli del compromesso – le colonie, Gerusalemme, le frontiere, il diritto al ritorno dei profughi, l’ebraicità di Israele, ecc.. – quella maggioranza si erode al punto da rendere impossibile il compromesso. Ognuno accetta l’esistenza dell’altro ma solo alle sue condizioni.
Esiste invece solo una coraggiosa e commovente minoranza sinceramente pronta a tutti i compromessi necessari, che tuttavia non vincerà mai un’elezione né produrrà uomini o donne straordinari come Mandela e Gandhi. Straordinari condottieri, capi di popoli ambiziosi ma non veri costruttori di pace.
Abbagliati dal loro presente – lo smisurato potere militare, un’economia dalle tecnologie avanzate, il caos nel mondo arabo – gli israeliani si illudono che così sarà per sempre. Schiacciati dal loro disperato millenarismo, i palestinesi sono sedotti dall’idea che un giorno Dio o un nuovo Saladino li porterà alla vittoria.
P.s. Se scendete da Gerusalemme nella valle del Giordano e girate a sinistra, prima di Gerico la strada che porta al ponte di Allenby è intitolata a Gandhi. Ma non ha nulla a che vedere con il Gandhi autentico. Quello israeliano era l’ex generale Rehavam Ze’evi che i suoi soldati chiamavano Gandhi per il cranio rasato e la magrezza. Da politico Ze’evi aveva fondato il partito razzista Modelet che invocava il trasferimento dei palestinesi di Cisgiordania in una non meglio precisata “nazione araba”. Nel 2001 Ze’evi fu assassinato da due palestinesi all’hotel Hiatt, sul Monte Scopus.
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