Una famiglia che ha perso 29 suoi membri nella guerra di Gaza: invidiamo i morti

812

di Amira Hass

Richard Goldstone si è recato nell’area di Zaytoun nei dintorni di Gaza City per visitare il complesso della famiglia Samouni, 29 membri della famiglia, tutti civili, sono stati uccisi delle Forze di Difesa Israeliane di cui 21 durante il bombardamento di una casa dove l’esercito aveva riunito circa 100 membri della famiglia il giorno precedente.

I Samouni erano fiduciosi del fatto che, nel caso di ogni invasione militare a Gaza, sarebbero sempre riusciti a cavarsela con l’esercito israeliano. Fino al 2005, prima del disimpegno israeliano dalla striscia, l’insediamento ebraico di Netzarim si trovava proprio accanto alla loro porta di casa e molti membri della famiglia vi lavoravano di tanto in tanto. Quando le pattuglie congiunte israeliane e palestinesi erano in servizio, i soldati israeliani e gli ufficiali delle forze di sicurezza palestinesi a volte chiedevano ai Samouni di “prestargli” un trattore per spianare un pezzo di terra o riparare la strada Salah al-Din (ad esempio, quando un convoglio diplomatico necessitava di transitarvi). Mentre i membri della famiglia Samouni lavoravano sui loro trattori raccogliendo della sabbia, i soldati sarebbero rimasti a guardarli.

In una risposta generica alle domande poste da Haaretz e riguardanti il comportamento delle forze militari nel quartiere della famiglia di Samouni, il portavoce delle forze di difesa israeliane dichiarò che tutte le richieste sarebbero state esaminate. “Al completamento dell’indagine, le conclusioni sarebbero state consegnate all’avvocato militare generale che avrebbe deciso sulla necessità di fare passi ulteriori”, affermò il portavoce. I Samouni erano fiduciosi del fatto che, nel caso di ogni invasione militare a Gaza, sarebbero sempre riusciti a cavarsela con l’esercito “Nel momento in cui i soldati volevano che noi ce ne andassimo, ce lo avrebbero mostrato con le armi in pugno. Questo è ciò che mi ha insegnato l’esperienza”, ripete Salah Samouni, che ha perso una bambina di due anni in un attacco delle forze dell’esercito israeliano, insieme a suo zio e a entrambi i suoi genitori. Gli uomini più anziani della famiglia, tra loro suo padre e due zii che furono uccisi dalle forze di sicurezza israeliane il 4 e 5 gennaio, avevano lavorato in Israele fino agli anni 90 in diverse località, incluso Bat Yam, Moshav Asseret e “Glicksman Plant”. Tutti loro credevano che l’ebraico che avevano imparato li avrebbe aiutati e se necessario li avrebbe salvati durante gli incontri con i soldati.

“Mia figlia Azza, la mia unica figlia, di due anni e mezzo, rimase ferita la prima volta che venne colpita la casa” disse Salah ad Haaretz.

“Riuscì solo a dire “Papà, mi fa male” e poi al secondo colpo morì. E io stavo pregando. Tutto era polvere e non riuscivo a vedere niente. Ho pensato di essere morto. Mi ritrovai che stavo cercando di alzarmi, tutto sanguinante e trovai mia madre seduta vicino all’ingresso con la testa piegata verso il basso. Mossi la sua faccia un po’ e mi accorsi che la metà destra della faccia era andata. Guardai mio padre, il cui occhio era perso. Stava respirando ancora un po’ e poi smise.”

Quando uscirono dalla casa – feriti, confusi, storditi, con il terrore che sarebbe presto caduta la quarta bomba o missile –  determinati a raggiungere Gaza nonostante le vicine urla dei soldati intimassero di tornare indietro, avevano tutti i motivi per credere che nella casa fossero rimasti solo cadaveri. Non sapevano che sotto la polvere e le macerie in una larga stanza, nove membri della famiglia erano rimasti vivi: la più anziana matriarca e cinque dei suoi nipoti e pro-nipoti – il più giovane dei quali aveva tre anni, il più grande 16 – insieme ad un altro congiunto e suo figlio. Erano svenuti, alcuni di loro sotto ai cadaveri. Il giorno precedente Amal, una bambina di 9 anni era stata testimone dell’irruzione dei soldati nella sua casa e dell’uccisione di suo padre, Atiyeh. Si era rifugiata nella casa del suo zio Tallal e insieme con gli altri membri della famiglia si era trasferita nella casa di Wael.

Non sapeva che suo fratello Ahmad stava sanguinando a morte tra le braccia di sua madre, in un’altra casa del quartiere. Solo il martedi 7 gennaio, le forze di difesa israeliane permisero all’equipe della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa di entrare nel quartiere. Esse affermarono che era dal 4 gennaio che avevano chiesto di entrare, ma l’esercito israeliano non glielo aveva permesso – sia sparando in direzione delle ambulanze che provarono ad avvicinarsi, che rifiutando di accettare ogni sorta di organizzazione. I team medici, ai quali era stato permesso di entrare a piedi, dovettero lasciare le ambulanze a un chilometro o a un chilometro e mezzo di distanza, sebbene essi stessero soccorrendo i feriti della casa di Hijjeh. Poi la nonna disse loro dei bambini feriti che erano rimasti indietro, tra i morti, nella casa di Wael.  Il team medico si preparò per il loro soccorso, totalmente impreparato a ciò che si sarebbe trovato davanti.

In una risposta generica alle domande poste da Haaretz e riguardanti il  comportamento delle forze militari nel quartiere della famiglia di Samouni, il portavoce delle forze di difesa israeliane dichiarò che tutte le richieste sarebbero state esaminate. “Al completamento dell’indagine, le conclusioni sarebbero state consegnate all’avvocato militare generale che avrebbe deciso sulla necessità di fare passi ulteriori”, affermò il portavoce.

Salah Samouni, durante la conversazione telefonica disse: “ ho chiesto a Richard Goldstone di scoprire solo una cosa: perché l’esercito ci ha fatto questo? Perché ci hanno portato fuori dalla casa uno ad uno e l’ufficiale che parlava in ebraico con mio padre è stato in grado di verificare che eravamo tutti civili per poi bombardarci e ucciderci? Questo è ciò che vogliamo sapere.”

“Noi ora ci sentiamo e siamo in esilio, sebbene siamo nella nostra patria, sulla nostra terra. Ci sediamo e invidiamo i morti. Loro sono quelli che riposano in pace.”

Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, 18 novembre 2009

(traduzione di Irene Miracca)

Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

SHARE

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.