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Vintage Egypt

admin | October 17th, 2012 – 8:42 pm

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http://invisiblearabs.com/?p=4979 [2]

Non so di preciso cosa possa significare Vintage Egypt. A seconda di chi lo usa, può essere l’Egitto della nostalgia, dei ‘bei tempi andati’ (!!??!!), delle minigonne post-1967, delle donne che non indossavano il velo e che anzi erano ‘moderne’ quanto le occidentali. Per capire di che paese si parla, basta sfogliare un blo [3]g che ho scoperto oggi.

Vintage Egypt può essere però, allo stesso tempo, anche il paese in cui la presenza degli europei, tra il Cairo e Alessandria, aveva dato un preciso ‘tono’ alle due città-simbolo. Era l’Egitto decisamente coloniale, meravigliosamente immortalato nelle foto di un libro d’immagini che – infatti – usa proprioVintage Egyp [4]t come titolo, e come evocazione.

Se dovessi descriverlo per la mia esperienza cairota, quel vintage lo ambienterei nello stanzone di un rigattiere di Zamalek. Lo chiamavo l’antro degli orrori, perché dentro c’era tutto un mondo di vecchi telefoni e oggettistica dei ministeri dei tempi di Gamal Abdel Nasser. C’era anche un busto in gesso di Nasser, alto quanto me e per giunta color bronzo. Ho fatto l’errore di non comprarlo, e – tempo una settimana – qualcun altro se l’è accaparrato.

Fare una lunga sosta nell’’antro degli orrori’ di Zamalek era un viaggio pieno di polvere e fascino in uno strano Egitto che sapeva certo di Naguib Mahfouz, ma anche di modelli socioeconomici che cambiavano. Di contratti sociali e di nuova dignità, di una città che perdeva gli europei e diventava più egiziana. Gli egiziani, poi, non ci misero tanto a dimenticare quella parte della loro storia contemporanea: a dirlo sono i mobili di chiara fattura europea che alcuni anni fa era normale e per nulla raro trovare a poco prezzo dai rigattieri di downtown. Il gusto medio degli egiziani era ed è diverso, come diverso è il gusto medio degli italiani, e così il modernariato degli anni Trenta e Quaranta (sino alla grande migrazione degli europei successiva alla rivoluzione del 1952) non faceva  – sino a qualche anno fa – tanta gola. Una pacchia, certo, per gli expat che sciamavano – come me – tra un rigattiere e l’altro, a cercare non solo tavolini e poltrone, ma vecchie riviste, grammofoni, foto di gruppo, sino alle copertine dei 78 e dei 45 giri di Umm Kulthoum.

Un vero e proprio attacco di nostalgia, curato in mezzo all’oggettistica della vita quotidiana dell’Egitto che fu, e che ancora è.

Il brano della playlist è di Umm Kulthoum. Più che brano, è uno dei concerti. Un’ora di grande musica egiziana: Al Atlal [5]. Fa parte a pieno titolo del corredo della nostalgia, assieme alle foto, alle vecchie pubblicità degli anni Quaranta, alle statuine di terracotta che oggi immortalano la Stella d’Oriente e i suoi musicisti. Accanto alle poltrone liberty, ai tavolini intarsiati, a tutto ciò che gli europei d’Egitto lasciarono in quella che per molti di loro fu una patria d’adozione.