15 dic 2015
Parlando oggi alla radio militare, il ministro della difesa israeliana chiude definitivamente il caso: gli autori dell’attacco incendiario sono “ebrei” e Tel Aviv li conosce, ma non può condannarli perché non può dimostrare la loro colpevolezza
della redazione
Roma, 15 dicembre 2015, Nena News – Sono ormai ridotte al lumicino le speranze di poter assicurare alla giustizia gli autori dell’incendio della famiglia Dawabshe. A chiudere il caso forse definitivamente, con relativa assoluzione degli assassini, è stato oggi il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’lon.
Parlando alla radio militare, il ministro ha affermato che l’attacco incendiario dello scorso luglio è “sicuramente ebraico e me ne vergogno” e che il dipartimento della difesa conosce anche chi ne è responsabile. Ciononostante, non ci sarebbero prove schiaccianti per incriminarli e condannarli. Le dichiarazioni di Ya’alon seguono quelle di ieri del vice procuratore generale per i crimini penali secondo cui sono state usate “misure straordinarie” durante gli interrogatori nei confronti dei sospetti. Domenica l’Alta corte di Giustizia aveva autorizzato lo Shin Bet (l’Intelligence interna) a continuare ad impedire ai tre presunti assassini di incontrare i loro avvocati. Disposizioni che, nonostante la loro durezza, non hanno finora prodotto alcun risultato.
Eppure soltanto a inizio mese i media israeliani avevano annunciato con grande enfasi l’arresto dei coloni ebrei responsabili del rogo doloso della scorsa estate a Kfar Douma in cui sono morti Ali Dawabsha, 18 mesi, e, nelle settimane successive (per le ustioni gravissime) il padre Saad e la madre Reham. Tuttavia, il rinvio a giudizio degli assassini apparve sin da subito poco sicuro. Le autorità israeliane frenarono e presero tempo. Già allora il ministro della sicurezza Gilad Erdan parlò di una mancanza di prove schiaccianti contro i presunti assassini identificati, da un sito israeliano pacifista, in Elisha Odess e Hanoch Ganiram due giovani cresciuti in un ambiente ultranazionalista e religioso. Gli investigatori le starebbero ancora cercando, quattro mesi dopo l’assassinio del bimbo e dei suoi genitori. Una cautela senza dubbio legata anche alle proteste dei coloni e della destra estrema che, attraverso l’organo d’informazione di riferimento, Arutz 7, denunciano una presunta “grave violazione” dei diritti degli arrestati.
La prudenza con cui Israele si muove quando gli assassini sono ebrei (come dimostra il caso Dawabshe) ha ulteriormente persuaso i palestinesi, e non solo loro, dell’esistenza di una doppia giustizia nei Territori occupati: una implacabile e rapida applicata nei confronti dei palestinesi, un’altra lenta e incerta verso gli israeliani. Dieci giorni fa, ad esempio, una corte militare ha condannato senza troppi riguardi a 15 mesi di prigione la parlamentare palestinese del Fronte popolare (Fplp, sinistra marxista), Khalida Jarrar, per aver appoggiato presunte “attività terroristiche”. Una condanna giunta al termine di quello che Human Rights Watch ha descritto come un caso «pieno di violazioni processuali». Nena News
http://nena-news.it/yaalon-non-abbiamo-prove-schiaccianti-contro-assassini-famiglia-dawabshe/
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