Miti sionisti: invenzione israeliana dei simboli nazionali

Articolo pubblicato originariamente su Palestine Chronicle e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

L’assenza di un’autentica memoria nazionale israeliana ha reso cruciale per il sionismo politico costruire una trama contorta di inganno appropriandosi dei simboli nazionali.

Di Jamal Kanj

Se si chiedesse a un gruppo casuale di persone altamente istruite chi ha fondato la città di Gerusalemme, alcuni potrebbero invocare l’ignoranza, ma la maggior parte probabilmente risponderebbe Re Davide. Dopotutto, è apparentemente conosciuta come la Città di Davide.

Questo esempio dimostra come le leggende incontestate, originate da documenti non storici come i testi religiosi, possano plasmare le sofisticate narrazioni storiche. Questo articolo approfondirà i principali consueti miti sionisti che sono accettati come verità in Occidente.

Il naturale sviluppo delle nazioni si basa su diversi fattori: principalmente simboli nazionali che costituiscono una parte importante della memoria nazionale, patrimonio culturale distintivo, appartenenza, territorio, valori, costumi, tradizioni, lingua e comportamenti sociali. Questi elementi si evolvono gradualmente e si trasmettono attraverso le generazioni, formando le fondamenta della nazionalità.

Tuttavia, lo sviluppo dello Stato di Israele ha seguito un percorso non convenzionale. Il movimento politico sionista ha adottato un approccio inverso occupando il territorio, principalmente, aggirando il naturale processo di sviluppo generazionale e appropriandosi di vari aspetti della cultura generale locale, inclusi i simboli nazionali.

I leader israeliani affermano spesso, ad esempio, che Gerusalemme è stata la capitale ebraica per 3000 anni. In Occidente, la veridicità di tale affermazione non è messa in discussione, né per ignoranza, per opportunismo religioso, né per timore di essere accusati di “antisemitismo” per aver sfidato le narrazioni sioniste. Questa intimidazione organizzata è la ragione principale per cui il pensiero critico in Occidente spesso non riesce a mettere in discussione i miti israeliani.

Di conseguenza, solo pochi sanno che la città di Gerusalemme è stata la capitale dei palestinesi nativi per oltre 6000 anni, molto prima che fosse occupata dalle tribù ebraiche della Mesopotamia. Le prove storiche e archeologiche indicano i Fenici Cananei, gli antenati degli odierni palestinesi, come il primo insediamento umano a Gerusalemme nel 4.000 a.C. I Gebusei, una tribù Cananea, chiamavano la cittadina sulla collina “Urushalim”. Il nome è un termine che fonde le parole “Uru”, che significa “fondato da” e “Shalem”, il Dio Fenicio Cananeo del Crepuscolo, da cui “Urushalim”.

Di conseguenza, il simbolo nazionale israeliano più noto, Gerusalemme, non era la Città di Davide. Infatti, fu costruita 3000 anni prima della nascita di Davide, ed era dedicata al Dio Cananeo del Crepuscolo, Shalem, non all’Elohim di Avraham. Israele e il sionismo adottarono una variante del lessico Cananeo, chiamando la città “Yerushaláyim”, implicando un’associazione ebraica con il nome originale.

L’appropriazione sionista dei simboli nazionali è così pervasiva che anch’io una volta sono caduto in questo equivoco, credendo erroneamente che “Urushalim” avesse un’origine ebraica. Ricordo di aver sentito un sacerdote cristiano in Libano riferirsi a Gerusalemme come “Urushalim”, invece del suo nome arabo, “Al Quds”. A quel tempo, non mi ero reso conto che il sacerdote stava usando il nome Cananeo originale, ricordandoci che i moderni sionisti si appropriarono del nome “Urushalim” quando la città fu occupata nel Xº secolo a.C. e di nuovo nel XXº secolo d.C.

Oltre all’affermazione storicamente falsa di essere la “capitale eterna”, un altro simbolo nazionale iconico che è stato falsamente rappresentato come esclusivamente “ebraico” è la stella a sei punte nella bandiera israeliana. Contrariamente alla credenza popolare, l’esagramma nella bandiera israeliana non è solo un simbolo ebraico. Prima della sua associazione con il giudaismo nell’Europa orientale del XVIIº secolo, il primo uso ebraico del simbolo fu ereditato dalla letteratura araba medievale dai cabalisti per l’uso negli amuleti protettivi talismanici.

Il simbolo è stato utilizzato anche nelle chiese cristiane come motivo decorativo molti secoli prima del suo primo uso noto in una sinagoga ebraica. Il libro dello storico israeliano Shlomo Sand: “L’invenzione della Terra di Israele” (The Invention of The Land of Israel), spiega che la stella di Davide non è un antico simbolo ebraico ma ha le sue origini nel subcontinente indiano, dove è stata ampiamente utilizzata da varie culture religiose e guerriere.

I due triangoli equilateri si possono ancora trovare oggi nell’intricato lavoro di intarsio in madreperla con esagrammi come parte di disegni a mosaico su sedie, tavoli e scatole di legno in noce nell’odierna Siria. Questa squisita forma d’arte risale a migliaia di anni fa nella città di Damasco, la città abitata ininterrottamente più antica del mondo.

Un altro simbolo che manca di significato religioso intrinseco nella storia è il cosiddetto “Muro Occidentale”. Il Muro non è una struttura interna e non può far parte di un edificio. Piuttosto, è un terrapieno esterno che sostiene un terreno più elevato (Haram el Sharif/ Nobile Santuario) e un’estensione del muro esterno difensivo che circonda la Città Vecchia, che precede la presenza ebraica nella città. Il muro di fortificazione lungo circa 4 chilometri e alto 12 metri fu ricostruito tra il 1537 e il 1541 sotto il sultano ottomano Suleiman Iº.

Gli ebrei che si sono assimilati nella cultura palestinese ma hanno mantenuto le loro credenze religiose hanno vissuto per secoli in Palestina, inclusa Gerusalemme, insieme ai loro compatrioti musulmani e cristiani. Nel corso della storia, prima dell’avvento del movimento messianico cristiano occidentale e della nascita del sionismo politico, non ci sono documenti storici che indichino che il Muro di fortificazione Occidentale fosse usato come luogo di preghiera. Il lato Ovest del Muro divenne un’attrazione religiosa solo nel XVIIº secolo, spinto dai devoti religiosi cristiani che volevano affrettare il ritorno del Messia.

Nel tentativo di convalidare le loro fantasie deliranti, i succedutesi governi israeliani hanno condotto estesi scavi sotto il Nobile Santuario per oltre sessant’anni. Tuttavia, non hanno ancora prodotto alcuna prova archeologica che indichi un sito religioso ebraico.

Nella storia più recente, è poco noto che la melodia dell’inno nazionale israeliano, “Hatikvah”, originariamente apparteneva all’inno del Movimento Sionista Mondiale ed è stata adattata dalla famosa melodia “Vltava” (La Mia Patria) del compositore ceco Bedřich Smetana .

L’assenza di un’autentica memoria nazionale israeliana ha reso cruciale per il sionismo politico costruire una contorta trama di inganni appropriandosi di simboli nazionali e infondendo fatti alternativi che si sono radicati nell’ideale nazionale occidentale. Inculcando false narrazioni, leggende e favole della tradizione, viene modellata una nuova realtà, o come disse notoriamente il propagandista nazista Joseph Goebbels: “Una bugia detta una volta rimane una bugia, ma una bugia detta mille volte diventa la verità”.

Quest’ultimo potrebbe forse spiegare la reciproca adulazione tra Donald Trump e la sua versione ebraica, Benjamin Netanyahu.

– Jamal Kanj è l’autore di “Children of Catastrophe, Journey from a Palestinian Refugee Camp to America” (Bambini della Catastrofe, Viaggio da un Campo Profughi Palestinese all’America) e altri libri. Scrive frequentemente su questioni del mondo arabo per vari commenti nazionali e internazionali. Ha contribuito con questo articolo a The Palestine Chronicle

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